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Badge DDS 1992

Nuovi documenti sulla politica estera svizzera 1992

Il 6 dicembre 1992, l’elettorato svizzero diede una sterzata alla politica europea della Svizzera, decretando il naufragio dell’adesione allo Spazio Economico Europeo (SEE). «Il Consiglio federale prende atto di questa decisione e la rispetta», dichiarò il Presidente della Confederazione René Felber dopo la votazione, pur rammaricandosi «che la Svizzera rinunci alle opportunità di apertura che le sono state offerte, rompendo così anche con la sua politica di avvicinamento all’Europa, perseguita politicamente fin dalla Seconda Guerra Mondiale» (dodis.ch/61182). Ma come si giunse a questa rottura?   Il centro di ricerca Dodis ha analizzato un gran numero di documenti sul fatidico 1992, pubblicandone una selezione nella banca dati Dodis e nell’ultimo volume dei Documenti diplomatici svizzeri, esattamente alla scadenza del periodo di protezione legale, ovvero il 1° gennaio 2023. «I documenti dimostrano», afferma il direttore di Dodis, Sacha Zala, «che con la fine delle certezze della Guerra fredda, le maggiori sfide con cui si trovò confrontata la Svizzera furono proprio le questioni di integrazione politica».   Una politica europea in frantumi  Appena qualche mese prima, in primavera, il Consiglio federale aveva deciso di presentare rapidamente una richiesta alle Comunità europee (CE) per l’avvio dei negoziati di adesione. La decisione fu tutt’altro che unanime: mentre i rappresentanti della Svizzera latina puntavano ad avanzare rapidamente, i Consiglieri federali Arnold Koller e Adolf Ogi temevano che ciò potesse ripercuotersi negativamente sulle votazioni sul SEE e sulla Nuova trasversale ferroviaria alpina (NFTA). Il Consigliere federale Kaspar Villiger sottolineava dal canto suo come il SEE rappresentasse «un’opportunità concreta», mentre la questione dell’adesione era «ancora molto controversa». Dopo un secondo giro di discussioni, il Ministro dei trasporti Ogi rinunciò ad opporsi, facendo pendere l’ago della bilancia a favore dell’adesione (dodis.ch/58958). Fu così che, il 20 maggio, il Consiglio federale approvò le lettere di adesione alla CE. Sul piano comunicativo, la votazione sul SEE si rivelò un esercizio estremamente delicato. Il più noto e potente oppositore allo SEE era Christoph Blocher, membro zurighese del Consiglio nazionale per l’UDC. Davanti alla Commissione dell’economia, esortò a «forzare» gli accordi bilaterali con la CE, senza tuttavia trovare alleati tra la maggior parte dei suoi colleghi. Pascal Couchepin, Consigliere nazionale liberale-radicale vallesano, mise in guardia contro il crescente livello di emotività del dibattito, nocivo per la democrazia (dodis.ch/60997). Sia fuori che dentro il parlamento si scatenò una campagna di votazioni burrascosa che provocò, con l’esito della votazione del giorno di San Nicolao, una scossa per il Consiglio federale. Nonostante il rammarico interno per il fatto che non tutti i Consiglieri federali si fossero espressi chiaramente a favore del SEE, il compito divenne di «accettare la decisione del sovrano», di sanare il più rapidamente possibile le «ferite aperte e lacerate» e di «riunire il Paese» evitando il diffondersi della rassegnazione (dodis.ch/60622). Relazioni economiche e finanziarie globali   Nel 1992, la diplomazia commerciale svizzera cercò nuovamente di contrastare l’onnipresenza dell’Europa mostrandosi favorevole alla creazione di legami a livello globale. L’attenzione si concentrò sul commercio bilaterale con la Cina (dodis.ch/61393), l’emergente «tigre taiwanese» (dodis.ch/61266), o ancora l’Argentina ed il Cile (dodis.ch/61447). Lo strumento più importante per rafforzare i contatti extraeuropei era rappresentato dall’Uruguay Round del GATT, i cui negoziati si bloccarono sul tema dell’agricoltura (dodis.ch/62343).    Per quanto riguarda la politica finanziaria, il popolo e i cantoni decisero a maggio che la Svizzera avrebbe dovuto aderire alle istituzioni di Bretton Woods. La Svizzera avrebbe dovuto esercitare la sua influenza attraverso un ventiquattresimo posto fisso nel Consiglio esecutivo e la formazione di un nuovo gruppo di Paesi. Infatti, così l’argomento per la posizione insolitamente risoluta della Svizzera, «se non si raggiunge subito l’obiettivo e si accetta una sedia pieghevole, non si torna più al tavolo» (dodis.ch/62733). Con la Polonia e i nuovi Stati dell’Asia centrale – Uzbekistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Azerbaigian – la Svizzera riuscì infine a riunire una quota sufficiente per stabilirsi nel Fondo Monetario Internazionale come capo del cosiddetto gruppo di voto «Helvetistan». Per quanto riguarda il WEF di Davos, importante evento per il Consiglio federale, il Presidente Felber ricevette i capi di Stato dei Paesi della CSI, offrendo alla Svizzera l’opportunità di stabilire relazioni con i nuovi Stati indipendenti (dodis.ch/60457).  «I migliori compromessi possibili» in campo ambientale   Il principale evento nell’ambito della cooperazione multilaterale fu la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo di Rio de Janeiro. Dopo un attivo lavoro di preparazione da parte della Svizzera, i delegati di 178 Paesi negoziarono nella città brasiliana soluzioni ai problemi ambientali globali (dodis.ch/61093). Alla firma della Convenzione sul clima, il Ministro dell’Ambiente Cotti annunciò solennemente che la Svizzera avrebbe stabilizzato le sue emissioni di CO2 ai livelli del 1990 entro l’anno 2000. Il suo rapporto finale affermava che al «Vertice della Terra di Rio» erano stati raggiunti i migliori compromessi possibili (dodis.ch/61051).   Con un’importante campagna, la Svizzera cercò poi di ottenere che la sede del Segretariato della Commissione per lo Sviluppo Sostenibile fosse stabilita a Ginevra. Già ad aprile, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Boutros-Ghali aveva fatto sapere di avere altri piani per la sede delle Nazioni Unite a Ginevra (dodis.ch/58969). Tuttavia, la decisione negativa, giunta alla fine dell’anno, fu una sorpresa per la Svizzera, che aveva incitato la maggior parte degli Stati membri dell’ONU a sostenere la scelta di Ginevra come polo della politica ambientale (dodis.ch/62551). Non si trattò dell’unica sconfitta della Svizzera per la scelta di una sede internazionale nel 1992: L’Aia vinse la corsa per la sede del Segretariato dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (dodis.ch/61983). Ginevra ebbe tuttavia successo nella sua candidatura come sede del Tribunale di Conciliazione e Arbitrato della CSCE (dodis.ch/61464).   Guerra e mantenimento della pace Nel 1992, la stessa CSCE si consacrò interamente alla prevenzione dei conflitti e alla gestione delle crisi, attività molto richieste dopo lo sconvolgimento strutturale della politica di sicurezza europea. Essa si occupò della guerra nell’ex-Jugoslavia, dei conflitti in Nagorno-Karabakh, Transnistria e Abkhazia, dove la CSCE avrebbe dovuto più tardi condurre operazioni di mantenimento della pace in collaborazione con la NATO e l’Unione Europea Occidentale (UEO) (dodis.ch/61951). Da parte sua, il Consiglio federale presentò in agosto una tabella di marcia sulle modalità di impiego di un primo battaglione svizzero di caschi blu messo a disposizione dell’ONU e della CSCE a partire dalla fine del 1994 (dodis.ch/62528). Gli osservatori militari svizzeri dell’ONU erano presenti in Medio Oriente dal 1990, e fu prolungato l’impegno di un’unità medica svizzera nel Sahara occidentale.   In Bosnia-Erzegovina, la Svizzera partecipò sia alle missioni CSCE che alla Forza di Protezione delle Nazioni Unite. Inoltre, gli aiuti umanitari dovevano alleviare le sofferenze delle vittime della guerra. Soprattutto a causa del gran numero di lavoratori provenienti dall’ex-Jugoslavia, gli eventi bellici in Bosnia ebbero un «significato politico eminente per la Svizzera». Il Paese aveva un «obbligo morale speciale» di aumentare gli aiuti (dodis.ch/60663). In quest’ottica, la Svizzera ha permesso a centinaia di bambini e persone bisognose di protezione di entrare nel Paese dalla Bosnia. Allo stesso tempo, il rimpatrio dei lavoratori stagionali dalla Macedonia e dal Kosovo fu provvisoriamente considerato nuovamente possibile (dodis.ch/62285). Nella politica d’asilo, il concetto dei cosiddetti «Safe Countries» continuò ad essere l’oggetto di intense discussioni (dodis.ch/61255).   Centro nevralgico della neutralità svizzera   La mutata architettura di sicurezza europea modificò infine in modo essenziale l’autopercezione della Svizzera, tanto che un gruppo di studio del Consiglio federale auspicò un «riorientamento della politica estera in materia di neutralità» (dodis.ch/59120). Quando un documento di discussione del Dipartimento militare mise in evidenza i limiti della capacità di difesa autonoma dell’Esercito svizzero, il DFAE avvertì, a proposito del «centro nevralgico della neutralità svizzera»: «Se l’esercito del piccolo Stato neutrale svizzero potrà in futuro svolgere la sua missione militare solo in associazione con forze armate straniere, se la neutralità perderà il suo effetto protettivo e diventerà un rischio», allora saranno le sue stesse «fondamenta» ad essere minacciate (dodis.ch/61955).    Dopo uno scambio con gli Stati neutrali dell’Austria, Svezia e Finlandia (dodis.ch/61100) e la constatazione di come questi «hanno deciso di avvicinarsi alla NATO e all’UEO», il Ministro della Difesa Kaspar Villiger si rivolge direttamente al Ministro degli esteri Felber: per la Svizzera è ormai necessario compiere un passo simile, perché «è l’unico modo per evitare di rimanere isolati in termini di politica di sicurezza» (dodis.ch/61267).   Il risultato negativo del referendum sul SEE, che marcò la fine del 1992, non cambiò affatto questo interesse della Svizzera per una maggiore integrazione nell’ambito della politica di sicurezza. «Resta da vedere», dice il direttore di Dodis, Sacha Zala, «se questa volontà di cooperare si concretizzerà nel 1993». I documenti che diverranno liberamente accessibili tra un anno lo mostreranno.
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Badge QdD15

Documenti diplomatici svizzeri sulla storia dell’ONU 1942–2002

«C’est pour moi une joie et un honneur de vous affirmer la volonté de la Suisse de participer activement aux travaux des Nations Unies.» In questi termini l’allora Presidente della Confederazione, Kaspar Villiger, concludeva il suo discorso dinnanzi l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York il 10 settembre 2002 (dodis.ch/55178). Esattamente 20 anni fa e dopo innumerevoli esitazioni, la Svizzera diventava l’ultimo stato sovrano al mondo ad aderire alle Nazioni Unite.  Per il 20° anniversario dell’adesione svizzera all’ONU, il gruppo di ricerca Documenti Diplomatici Svizzeri (Dodis) pubblica il terzo volume della serie «La Svizzera e la costruzione del multilateralismo»: www.dodis.ch/q15. Quest’ultima contribuzione contiene 50 documenti di centrale importanza, relativi alla complessa storia delle relazioni tra la Svizzera e l’ONU dal 1942 al 2002. La pubblicazione contiene altresì più di 2000 rinvii ad altri documenti consultabili nella banca dati Dodis.  L’ingente numero di documenti trovati prova come un’interpretazione restrittiva ed un impiego smodato della neutralità abbiano a lungo ostacolato l’adesione della Svizzera all’ONU. Nel 1986, il popolo svizzero rifiutava massivamente l’adesione all’ONU alle urne. Sedici anni dopo, e con la fine della guerra fredda, la politica estera elvetica ha conosciuto un periodo di apertura, il quale ha determinato l’adesione della Svizzera all’ONU. Nel marzo 2002, l’iniziativa popolare «per l’adesione della Svizzera all’Organizzazione delle Nazioni Unite» è stata accettata dal 54,6% dei votanti. «Gli obiettivi dello Statuto dell’ONU corrispondono agli obiettivi della politica estera della Svizzera.» Sono questi i termini impiegati nel messaggio del Consiglio federale che così sintetizzava la sua posizione, aggiungendo che d’ora in poi «La Svizzera può rispettare le disposizioni dello Statuto senza rinunciare alla sua neutralità» (dodis.ch/53989).  «Il fatto che l’opuscolo informativo delle votazioni, la domanda di adesione e il discorso del Presidente della Confederazione si riferiscano alla riaffermazione della neutralità dimostra che il governo svizzero ha lottato per decenni nel tentativo di trovare un compromesso, illustrando altresì la disperata ricerca di sostituire il suo Sonderstatut, concesso alla Svizzera al momento della sua adesione alla Società delle Nazioni nel 1920», riassume così Sacha Zala, Direttore del gruppo di ricerca Dodis, concludendo che «già nel 1946 la Svizzera avrebbe dovuto rendersi conto che gli stati neutrali potevano facilmente rimanere tali anche come membri dell’ONU.» Direttamente al nuovo volume: www.dodis.ch/q15
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50 Jahre Dodis

Dodis compie 50 anni!

Quest’anno il centro di ricerca Dodis celebra il suo giubileo: il prossimo autunno si celebrerà il 50° anniversario della fondazione del progetto di ricerca. Nel settembre 1972, il Presidente della Società svizzera di storia, il professor Louis-Edouard Roulet, invitò gli «iniziatori, gli istituti di storia delle università svizzere, il Consiglio della Società AGGS/SGSH e altre parti interessate» a un incontro sabato 14 ottobre 1972, alle 10:00, presso l’Università di Berna: Roulet informò gli invitati che «un gruppo di giovani storici, provenienti soprattutto dalla Svizzera francese, ha proposto la pubblicazione di una raccolta completa di fonti sulla politica estera svizzera dal 1848» (dodis.ch/37044). In quel memorabile sabato dell’autunno 1972, Antoine Fleury presentò l’idea del progetto a nome degli iniziazori e, dopo un dibattito sull’opportunità di accettarla, i presenti decisero di formare un comitato per portare avanti il progetto (dodis.ch/37043). Dodis fu fondata!  Dalla pubblicazione del primo volume del DDS (Vol. 7-I) nel 1979, sono stati pubblicati altri 28 volumi sulle relazioni internazionali della Svizzera dalla fondazione dello Stato federale nel 1848. La terza serie del DDS sugli anni Novanta è stata lanciata con grande successo il 4 gennaio 2021, con i documenti relativi al 1990 nuovamente accessibili lo stesso giorno nell’Archivio federale. L’unità di ricerca ha inoltre creato nuovi veicoli di pubblicazione per la storia delle relazioni estere della Svizzera con i Quaderni di Dodis e i Saggi di Dodis, sviluppati come «fiore all’occhiello delle Digital Humanities» grazie alla banca dati liberamente accessibile de 25 anni, e si è fatta valere come paladina del movimento Open Access. Il centro di ricerca Dodis festeggerà tutto questo nei prossimi mesi insieme alle istituzioni e progetti scientifici amici, ai suoi stakeholder e al pubblico: Agenda 15 luglio 2022 Cerimonia e networking scientifico presso l’Archivio federale. 17 settembre 2022 Stand alla fiera dell’anniversario dell’ASSU alla Bahnhofplatz di Berna. Il pubblico interessato è invitato a partire dalle 14:30. 18 ottobre 2022 Evento al Palazzo federale con il Presidente federale Ignazio Cassis.
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Screenshot Dodis-Datenbank 2001

Dodis: 25 anni in linea!

In quanto prima edizione di documenti diplomatici a livello mondiale, Dodis fu messo online il 28 maggio 1997 presso il Palazzo delle Nazioni di Ginevra, scrivendo così un pezzo di storia pionieristica di Internet. Quando i primissimi documenti furono messi online sulla banca dati Dodis, il centro di ricerca era ancora nel pieno degli anni Quaranta. Al primo documento pubblicato, dodis.ch/3, un memorandum del 9 maggio 1947, si sono aggiunti 43'425 documenti, 55'557 voci personali, 26'426 organizzazioni e 10'497 voci geografiche, e la ricerca si sta avvicinando a grandi passi alla scadenza dei 30 anni di protezione degli archivi. In questi mesi, Dodis sta conducendo ricerche sull’anno 1992 e pubblicherà i documenti portati alla luce nel corso del processo il 1° gennaio 2023, esattamente alla scadenza del periodo di protezione.  Quando Dodis fu messo a disposizione online nel 1997, solo il 6,8% delle svizzere e degli svizzeri dichiarava utilizzare Internet «più volte alla settimana». Un altro 15.1% dichiarava averlo usato «almeno una volta negli ultimi 6 mesi» e c’erano solo 129 indirizzi web registrati con il dominio di primo livello «.ch». Anche le istantanee di «Internet Archive» non vanno indietro fino al 1997. L’aspetto del banca dati quattro anni dopo, nel 2001, è mostrato sulla copertina di questa pubblicazione.  Con il lancio online della banca dati Dodis, l’Unità di ricerca non solo ha posto una pietra miliare, ma si è anche fatta un bel regalo di anniversario: quest’anno non festeggiamo solo il 25° anniversario della banca dati Dodis, ma anche il 50° anniversario della fondazione del Gruppo di ricerca sui Documenti diplomatici svizzeri.  Nel settembre 1972, il Presidente della Società svizzera di storia, il professor Louis-Edouard Roulet, invitò gli «iniziatori, gli istituti di storia delle università svizzere, il Consiglio della Società AGGS/SGSH e altre parti interessate» a un incontro sabato 14 ottobre 1972, alle 10:00, presso l’Università di Berna: Roulet informò gli invitati che «un gruppo di giovani storici, provenienti soprattutto dalla Svizzera francese, ha proposto la pubblicazione di una raccolta completa di fonti sulla politica estera svizzera dal 1848» (dodis.ch/37044). In quel memorabile sabato dell’autunno 1972, Antoine Fleury presentò l’idea del progetto a nome degli iniziazori e, dopo un dibattito sull’opportunità di accettarla, i presenti decisero di formare un comitato per portare avanti il progetto (dodis.ch/37043). Dodis fu fondata!  Dalla pubblicazione del primo volume del DDS (Vol. 7-I) nel 1979, sono stati pubblicati altri 28 volumi sulle relazioni internazionali della Svizzera dalla fondazione dello Stato federale nel 1848. La terza serie del DDS sugli anni Novanta è stata lanciata con grande successo il 4 gennaio 2021, con i documenti relativi al 1990 nuovamente accessibili lo stesso giorno nell’Archivio federale. L’unità di ricerca ha inoltre creato nuovi veicoli di pubblicazione per la storia delle relazioni estere della Svizzera con i Quaderni di Dodis e i Saggi di Dodis, sviluppati come «fiore all’occhiello delle Digital Humanities» grazie alla banca dati liberamente accessibile de 25 anni, e si è fatta valere come paladina del movimento Open Access. Festeggeremo tutto questo nei prossimi mesi insieme alle istituzioni e circoli scientifici amici, ai nostri stakeholder e al pubblico: Agenda 15 luglio 2022 Cerimonia e networking scientifico presso l’Archivio federale. 17 settembre 2022 Stand alla fiera dell’anniversario dell’ASSU alla Bahnhofplatz di Berna. Il pubblico interessato è invitato a partire dalle 14:30. 18 ottobre 2022 Evento al Palazzo federale con il Presidente federale Ignazio Cassis.
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Am 26. Mai 1918 erklärte die georgische Nationalversammlung die Demokratische Republik Georgien für unabhängig / Le 26 mai 1918 le Conseil national géorgien déclare l'indépendance de la République démocratique de Géorgie. Bild / Image: museum.ge

La Suisse, la Géorgie et la question de la reconnaissance

Il y a exactement 30 ans, le 23 mars 1992, la Suisse notifie par télex la reconnaissance de la Géorgie (dodis.ch/61323). La décision de reconnaître les États successeurs de l’Union Soviétique est prise par le Conseil fédéral déjà au mois de décembre 1991 déjà (dodis.ch/57514), mais l’exécution est reportée en raison de la situation politique intérieure confuse en Géorgie. Les relations diplomatiques entre les deux pays sont officiellement établies par la présentation par l’Ambassadeur Jean-Pierre Ritter des lettres de créance au Président géorgien Edouard Chevardnadze (dodis.ch/61191). La question de la reconnaissance de la Géorgie ne se pose pas pour la première fois pour la Suisse: lors la chute de l’Empire tsariste dans le sillage de la révolution russe de 1917, la Géorgie s’efforce déjà de faire reconnaître au niveau international la «République démocratique de Géorgie». Le jeune État tente également de nouer des rapports diplomatiques avec la Suisse (dodis.ch/60566). Au mois de juillet 1921, le Conseil fédéral décide «pour des raisons de principe» de ne pas reconnaître la Géorgie (dodis.ch/60569). L’Armée rouge avait en effet envahit le pays en février 1921 et le gouvernement de la «République démocratique» se trouvait en exil à Paris. Il y a 100 ans, en mars 1922, c’est le gouvernement des soviets de Tbilissi, alors installé à Moscou, qui s’efforce d’établir des relations diplomatiques officielles avec la Suisse (dodis.ch/44817). Toutefois, le Conseil fédéral rejette également cette requête (dodis.ch/60571). La fondation de la République socialiste soviétique géorgienne, son intégration dans la République socialiste fédérative soviétique de Transcaucasie en décembre 1922 et la perte de souveraineté du pays qui s’en suit mettent fin à la question de la reconnaissance pour les 70 années suivantes. L’historienne bâloise Fenja Läser s’intéresse depuis longtemps à l’histoire des relations entre la Suisse et la Géorgie. Le résultat de sa recherche vient de paraître dans un article de la revue Saggi di Dodis : «“L’appui de la sœur aînée“ ? Die Schweiz, die demokratische Republik Georgien und die Anerkennungsfrage 1918–1921» qui retrace ces périodes passionantes au moyen de nombreuses sources provenant de diverses archives. Les documents principaux des Archives fédérales sont publiés sur Dodis et indexés avec des métadonnées complètes et ceux-ci peuvent être consultés sous la compilation dodis.ch/C2137.
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er Schweizer Bundespräsident Flavio Cotti anlässlich seiner Rede am Europatag in Sils im Engadin/Segl vom 7. September 1991 vor zahlreichen nationalen und internationalen Gästen im Rahmen der 700-Jahrfeier der Eidgenossenschaft

Apertura degli archivi: Nuovi documenti sulla politica estera svizzera 1991

Il 1° gennaio 2022 scade il periodo di protezione dei dossier della Confederazione del 1991. I documenti messi a disposizione in questa occasione fanno luce sulla controversa conclusione del trattato SEE, sulle sfide della politica estera svizzera durante lo scoppio della guerra del Golfo, sulle guerre in Jugoslavia, e sulla situazione in relazione al crollo dell'Unione Sovietica.  «L’Europa è una parte di noi stessi, e noi siamo parte di essa. Così è sempre stato. Così sarà sempre.» Il presidente Flavio Cotti si dimostrò un europeo convinto di fronte a numerosi ospiti nazionali e stranieri invitati a Sils, in Engadina, nel settembre 1991, nell’ambito del 700° anniversario della Confederazione (doc. 37, dodis.ch/57668). La staticità apodittica del suo posizionamento fu però nettamente contrastata dal dinamismo degli sviluppi della politica europea nel 1991: «Durante l’anno dell’anniversario, la questione delle future relazioni con l’Europa è apparsa più incerta, e il Consiglio federale più diviso che mai», afferma Sacha Zala, direttore del centro di ricerca Dodis, riferendosi al nuovo volume dei Documenti diplomatici svizzeri (DDS). Quest’ultimo documenta in dettaglio la politica estera svizzera nel 1991, basandosi su una selezione di documenti. Numerose altre testimonianze dell’epoca, che verranno pubblicate il 1° gennaio 2022 – dopo la scadenza del loro periodo di protezione legale – presentano un anno marcato da una forte disillusione che pone nuove sfide alla diplomazia svizzera. Si tratta dunque di un anno che discorda nettamente dal precedente 1990, caratterizzato invece da molte speranze di cambiamento dopo l’epocale cesura del 1989.  «Satellizzazione» attraverso il SEE? Durante tutto l’anno, l’integrazione europea rimase il tema dominante. Un punto positivo fu la conclusione dell’accordo di transito con la Comunità europea (CE) da parte del Consigliere federale Adolf Ogi (doc. 51, dodis.ch/58168). I negoziati sullo Spazio economico europeo (SEE) ebbero meno successo. Mentre nel 1990 la «via di mezzo» dello SEE sembrava essere l’unica soluzione possibile, nel 1991 il Consiglio federale cambiò opinione. In marzo, il Presidente della Confederazione Cotti propose al Consigliere federale Jean-Pascal Delamuraz, che dirigeva il Dipartimento dell’economia e conduceva i negoziati con la CE insieme al ministro degli affari esteri René Felber, di interrompere al più presto le «umilianti» trattative sul SEE a favore di una domanda diretta di adesione (doc. 9, dodis.ch/57510). La controversa discussione del Consiglio federale, avvenuta il 17 aprile 1991, fu altrettanto emblematica riguardo al disaccordo all’interno del governo: mentre il ministro delle finanze Otto Stich era convinto che «un cattivo trattato non potesse mai essere visto come un passo nella giusta direzione» e che nella fattispecie, lo SEE, significava «una satellizzazione della Svizzera». Il ministro degli affari esteri Felber sottolineò «i numerosi punti positivi» e «i chiari vantaggi» di un accordo, seppure non equilibrato per la Svizzera. Per il ministro della difesa Kaspar Villiger invece, il paese si trovava «sulla strada verso uno stato coloniale, con uno statuto di autonomia» (doc. 13, dodis.ch/57331).  Pressione internazionale Nelle discussioni con i loro partner europei, i consiglieri federali cercarono ripetutamente di esprimere la loro insoddisfazione riguardo all’andamento dei negoziati. Il ministro tedesco degli affari esteri Genscher rispose con fermezza che solo come membro della CE «i propri interessi nazionali possono essere fatti valere nel miglior modo possibile» (doc. 16, dodis.ch/57028). Il presidente francese Mitterrand fu ancora più critico nei confronti della posizione svizzera di distanziamento, sottolineando che «le banche da sole non erano una base sufficiente per una civilizzazione» (doc. 25, dodis.ch/58092). Il capo negoziatore della CE, Krenzler, parlò addirittura di un «deficit di modernità» svizzero che poteva essere «corretto» con l’adesione della Svizzera alla CE o attraverso la sua sala d’attesa, che sarebbe lo SEE (doc. 27, dodis.ch/58039). Solamente poco prima della riunione dei ministri della CE e dell’AELS a Lussemburgo, durante la quale, secondo la Svizzera, sarebbe stato necessario «forzare una svolta o i negoziati sarebbero falliti» (doc. 44, dodis.ch/58388), il Consiglio federale prese una decisione di principio. La notte del 22 ottobre 1991, i Consiglieri federali Felber e Delamuraz accettarono i risultati dei negoziati sul trattato SEE e dichiararono l’adesione della Svizzera alla CE in quanto obiettivo strategico. Nonostante ciò, a novembre, il Comitato di politica estera del Consiglio degli Stati anticipò in modo asciutto che: «Il voto sul trattato SEE non è ancora stato vinto» e che c’era «ancora un’enorme quantità di lavoro se vogliamo far si che il popolo accetti questo trattato» (doc. 56, dodis.ch/58525).  Sviluppi drammatici nell’Europa orientale Nel 1991, anche gli sviluppi nell’est del continente continuarono a ritmo sostenuto. In nome della «massima responsabilità solidale», il Consiglio federale adottò un nuovo credito di 800 milioni per l’aiuto ai paesi dell’Europa orientale. Anche l’Albania, la Bulgaria, la Romania, la Jugoslavia e l’URSS avrebbero dovuto ricevere aiuti finanziari svizzeri (doc. 35, dodis.ch/57522). Tuttavia, l’Unione Sovietica scomparve ancora prima della fine del 1991: con la creazione della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) in dicembre, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche cessò di esistere. La Svizzera, abitualmente reticente in materia di riconoscimento, fu sorprendentemente uno dei primi paesi ad annunciare il riconoscimento delle nuove repubbliche sovietiche (doc. 61, dodis.ch/57514). I drammatici sviluppi in Jugoslavia ebbero ripercussioni in Svizzera, in particolare per quanto riguarda la gestione della migrazione della popolazione jugoslava. La Svizzera cercò di contribuire alla distensione nei Balcani nel quadro della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE), ma anche attraverso iniziative di mediazione unilaterali (doc. 50, dodis.ch/58114).  I «buoni uffici» in un nuovo ordine mondiale La Svizzera cercò di contribuire alla pace anche in altre parti del mondo. Quando i ministri degli affari esteri degli Stati Uniti e dell’Iraq si incontrarono nuovamente per dei colloqui a Ginevra, poco prima dello scoppio della guerra del Golfo a gennaio, il Consiglio federale offrì ancora una volta i suoi «buoni uffici» a sostegno nel processo di mediazione (doc. 2, dodis.ch/57332). Nel conflitto libanese, la diplomazia svizzera si adoperò per la liberazione di ostaggi e prigionieri (doc. 33, dodis.ch/58395) e in Afghanistan cercò di contribuire con una soluzione politica alla situazione insostenibile creando un nuovo contesto di discussione (doc. 29, dodis.ch/57737). «Degno di nota è il modo in cui la politica estera svizzera ha partecipato attivamente nel 1991 a fianco delle Nazioni Unite, ma certamente con ambizioni proprie, al regolamento o alla prevenzione di conflitti in parti molto diverse del mondo», afferma Sacha Zala, direttore di Dodis. La crescente partecipazione della Svizzera ai forum multilaterali accompagna la ricerca del suo posto nel nuovo ordine mondiale. Nella sessione autunnale, per esempio, il Parlamento approvò l’adesione della Svizzera alle istituzioni di Bretton Woods (doc. 40, dodis.ch/58258).  Relazioni economiche e aiuto allo sviluppo I viaggi e le visite in regioni economicamente dinamiche al di fuori dell’Europa avevano lo scopo di evitare che la Svizzera si concentrasse esclusivamente sull’integrazione europea. Le visite del Consigliere federale Delamuraz in Corea del Sud e a Singapore si concentrarono su questioni economiche (doc. 10, dodis.ch/57647), così come il viaggio del Consigliere federale Felber in India (doc. 47, dodis.ch/57398), la visita del Segretario di Stato Jacobi a Pechino (doc. 21, dodis.ch/57590) o il ricevimento del Ministro degli esteri argentino Di Tella a Berna (doc. 12, dodis.ch/58462). Le nuove direttive della Direzione dello sviluppo e dell’aiuto umanitario posero le basi per il dialogo con i partner dei paesi in via di sviluppo (doc. 28, dodis.ch/58718). Sulla base di una petizione delle agenzie umanitarie, anche la cooperazione allo sviluppo ebbe un posto di rilievo nelle celebrazioni del 700° anniversario della Confederazione svizzera. Con un importo simbolico di 700 milioni di franchi, il Consiglio federale intendeva finanziare, da un lato, misure di sdebitamento a favore dei paesi in via di sviluppo più poveri e, dall’altro, contribuire a programmi e progetti ambientali di portata mondiale (doc. 59, dodis.ch/57999).  La sessione dei giovani chiede una «Svizzera solidale» Infine, i partecipanti alla prima sessione federale dei giovani, che si svolse nel contesto delle celebrazioni del 700° anniversario, domandarono una Svizzera solidale. «In sostanza, i giovani elaborarono un programma d’azione di politica estera che manifestava lo spirito di apertura e di rinnovamento dell’epoca» spiega Zala, direttore di Dodis. Chiesero che la Svizzera, attraverso la sua politica estera attuale e futura, svolgesse un ruolo pionieristico a livello mondiale e agisse rapidamente, perché, per quei giovani, «non è indifferente ciò che succede negli altri paesi del mondo» (doc. 43, dodis.ch/58000).
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Der Schweizer Bundespräsident Arnold Koller unterzeichnet am Gipfeltreffen der Teilnehmerstaaten der KSZE im November 1990 die Charta von Paris für ein neues Europa

Politica estera svizzera nel 1990: è arrivato il nuovo volume!

«La divisione del nostro continente appartiene al passato», annunciò il presidente della Confederazione Arnold Koller durante il vertice di Parigi della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) tenuta nel novembre 1990. «Ciò che i popoli hanno desiderato per decenni sta per iniziare: un’era di cooperazione tra Est e Ovest con l’obiettivo di costruire un’Europa nuova e più unita» (doc. 50, dodis.ch/54685). Dopo gli sconvolgimenti epocali del 1989, anche il 1990 è stato segnato dalla svolta in Europa. La transizione democratica nell’Europa centrale e orientale, la fine dell’antagonismo tra Est ed Ovest e la riunificazione delle due Germanie diedero nuovo slancio all’idea europea. E in mezzo a tutto ciò c'era la Svizzera – confrontata con questioni riguardanti la sua neutralità, il suo ruolo nella comunità internazionale e le sue posizioni rispetto all'integrazione europea. Il nuovo volume dei Documenti diplomatici svizzeri (DDS) illustra questi e altri sviluppi di fondamentale importanza nelle relazioni internazionali della Svizzera nel 1990 con una selezione di documenti e numerosi riferimenti ad altre fonti e informazioni ufficiali nella banca dati Dodis. Visite dall'Europa orientale Ci si rese conto che «l’epicentro della politica dell’Europa occidentale» si stava spostando «un po’ verso Est» non solo a causa della riunificazione delle due Germanie (doc. 43, dodis.ch/56427). Tale spostamento si rifletté anche nella politica delle visite ufficiali: in febbraio il presidente polacco Wojciech Jaruzelski soggiornò a Berna (doc. 5, dodis.ch/ 56181), in autunno il Consiglio federale ricevette l’ultimo presidente del Consiglio dei ministri della RDT Lothar de Maizière, (doc. 35, dodis.ch/55552), incontrò Václav Havel, il simbolo della «Rivoluzione di velluto» in Cecoslovacchia (doc 54, dodis.ch/55850) e il ministro degli esteri sovietico Eduard Schewardnadse (doc. 58, dodis.ch/55430). Inoltre, la Svizzera sostenne i processi di transizione in Europa dell’Est con un primo credito quadro di oltre 250 milioni di franchi assegnati soprattutto a Polonia e Ungheria, Paesi in cui le riforme erano in uno stadio più avanzato (doc. 12, dodis.ch/55680). Neutralità ancora attuale? La Svizzera affrontò con estrema cautela la questione legata al riconoscimento dell’indipendenza dei tre Stati baltici. Non c’erano ancora gli elementi per il riconoscimento, questa la posizione prudente e decisa della sua politica di neutralità (doc. 61, dodis.ch/54526). «Importanza, valore e senso della neutralità come istituto del diritto internazionale e come massima della politica estera svizzera» vengono tuttavia messi sempre più spesso in discussione (doc. 24, dodis.ch/54523). Si fa largo una certa insicurezza di fronte alla nuova situazione geopolitica dopo l'improvvisa fine del conflitto tra Est ed Ovest e la conseguente perdita di importanza degli Stati neutrali e non allineati, sollecitati in maniera crescente a lasciare il loro tradizionale ruolo di intermediari. Un’incertezza che si ripercuote sulla definizione della posizione della Svizzera in materia di politica di sicurezza, per esempio nel «Rapporto 90» destinato soprattutto alle giovani generazioni, critiche nei confronti dell'esercito (doc. 19, dodis.ch/54937). Tastare il terreno presso le organizzazioni internazionali Il «Sonderfall Svizzera» veniva costantemente messo in discussione e con l’adesione all’ONU del Principato del Liechtenstein nel settembre 1990 «il cambiamento delle relazioni della Svizzera con l’organizzazione mondiale» diventò ancora più attuale (doc. 41, dodis.ch/56180). La Svizzera inviò un importante contingente di volontari nel United Nations Transition Assistance Group nell'ambito dell’operazione di mantenimento della pace in Namibia, compiendo così un doveroso «passo nella direzione di un maggiore impegno a livello globale nel campo del mantenimento della pace» (doc. 31, dodis.ch/56036). La Svizzera assunse anche una posizione più sicura di sé nei confronti delle istituzioni di Bretton-Woods e cercò di avviare dei colloqui in vista dell’adesione al Fondo monetario internazionale (FMI) e alla Banca mondiale. In una «fase di avvicinamento all’Europa, la normalizzazione dei rapporti con le istituzioni di Bretton-Woods dovrebbero promuovere il necessario e auspicato equilibrio e allo stesso tempo evidenziare l’apertura nei confronti del mondo» (doc. 1, dodis.ch/54926). SEE o «isolamento colossale» Nel 1990, la pièce de résistance della politica estera svizzera furono i negoziati riguardanti lo Spazio economico europeo (SEE). Il governo esaminò varie opzioni, tuttavia la Confederazione non considerò l’opzione di restare fuori dal mercato interno e di vestire sul lungo termine i panni del «cavalier seul». I consiglieri federali vedevano il «compromesso» del SEE come «l’unica opzione realistica» per la Svizzera (doc. 8, dodis.ch/54934). Si mirava a una soluzione «qui maintienne l’harmonie entre les spécificités suisses et la participation à l’Europe». Tuttavia, non ci si poteva attendere una «solution tout à fait conforme à nos espoirs» (doc. 23, dodis.ch/55262). Ciononostante, verso la fine dell'anno in Consiglio federale regnava un'atmosfera piuttosto dimessa per quanto riguardava i negoziati visto che la CE tratta la Svizzera in modo «insopportabile» e la Svizzera deve avere il coraggio di «dire no». Proposta che sul piano interno venne respinta perché «l’alternativa per la Svizzera sarebbe un isolamento colossale in un’epoca in cui la CE suscita una forte attrattiva» (doc. 56, dodis.ch/54945). Crisi del Golfo, relazioni economiche e sanzioni La diplomazia svizzera concentrò la sua attenzione oltre che sul contesto europeo anche sulle tensioni in Medio Oriente, dove prestò aiuto umanitario o offrì i suoi servizi di mediazione tra le parti in conflitto, per esempio tra Israele e Palestina oppure in Libano (doc. 47, dodis.ch/55025). In sintonia con la comunità internazionale, la Svizzera non riconobbe «l’annessione forzata e contraria al diritto internazionale del Kuwait da parte dell’Iraq» (doc. 29, dodis.ch/55715) e aderì – per la prima volta nella sua storia – a un regime di sanzioni dell'ONU. Il governo svizzero continuò tuttavia a curare i suoi rapporti economici con il regime dell'apartheid in Sudafrica, nonostante Nelson Mandela, in un colloquio con il consigliere federale Felber, lo avesse sollecitato a riconsiderare la decisione della Svizzera di non aderire alle sanzioni internazionali (doc. 25, dodis.ch/54851). Dall’altra parte dell’Atlantico, i viaggi del consigliere federale Delamuraz e dei suoi diplomatici erano all’insegna della svolta neoliberale che aveva investito il continente sudamericano (doc. 26, dodis.ch/56121 e doc. 59, dodis.ch/54750). Cooperazione con Paesi in via di sviluppo Nonostante avesse posto l’accento sulle azioni umanitarie a favore dell’Europa orientale, la Svizzera non mise in discussione la cooperazione allo sviluppo con i Paesi del «Terzo mondo» (doc. 39, dodis.ch/56092). Il parlamento approvò quindi un nuovo credito quadro per proseguire la cooperazione tecnica e l’aiuto finanziario a favore dei Paesi in via di sviluppo con un importo di 3,3 miliardi di franchi. La questione relativa al sostegno di regimi repressivi venne sollevata a più riprese. Nei suoi rapporti con il Nepal e il Ruanda, la Svizzera insistette sul rispetto dei diritti umani (doc. 14, dodis.ch/56128; doc. 48, dodis.ch/56080). La Svizzera – non è un'eccezione? Anche il DFAE dovette adeguarsi ai cambiamenti in atto. Oltre alle innovazioni tecniche, il quadro delle relazioni internazionali venne ampliato, inglobando continuamente nuovi campi d’attività. Nel contempo, il consigliere federale Felber assegnò al suo dipartimento il ruolo di mediatore e mentore della popolazione, ritenuta ignorante: «[N]ous sommes là pour convaincre nos concitoyens que leur regard ne doit pas s’arrêter au mur d’en face ni même à la frontière de notre pays – il est trop petit». Bisognava infatti abbandonare la vecchia idea che la Svizzera fosse un «Sonderfall»: «[L]a Suisse, État, Nation, n’est pas un ‹Sonderfall› c’est un petit morceau de la géographie du continent européen et c’est un État qui a les mêmes responsabilités que tous les autres États de ce continent et du monde» (doc. 32, dodis.ch/54342).
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