Banca dati

E-dossiers

L’ambasciatore Jolles e il consigliere federale Brugger (da sinistra) firmano l’Accordo di libero scambio con la CEE il 22 luglio 1972, dodis.ch/50546

I 50 anni dell’Accordo di libero scambio con la CEE

Il 1972, secondo l’allora redazione della «Weltwoche», avrebbe rappresentato una «pietra miliare della storia», che per il suo significato sarebbe proceduta sulla stessa scia del patto federale del 1291, della battaglia di Marignano, della pace di Vestfalia, del Congresso di Vienna e della fondazione stessa della Confederazione nel 1848 (dodis.ch/36211). Quello che il settimanale zurighese euforicamente catapultava nell’olimpo della storia svizzera era l’Accordo di libero scambio con la Comunità Economica Europea (CEE) che il consigliere federale Ernst Brugger aveva firmato a Bruxelles 50 anni fa, il 22 luglio 1972. Nel suo discorso alla cerimonia Brugger sottolineò che l’accordo rappresentava «un passo significativo del nostro tradizionale impegno a contribuire all’integrazione del nostro continente per quanto ci sia possibile fare entro i limiti dateci dalla democrazia diretta, dalle competenze parlamentari e dalla politica estera basata sulla neutralità» (dodis.ch/36209). Le «relazioni particolari» della CEE con i «non candidati» «Quando nel 1969 la Francia ritirò il suo veto contro l’adesione della Gran Bretagna, si aprì la strada ad un primo ingrandimento della CEE» afferma Sacha Zala, direttore del centro di ricerca Dodis. Parallelamente ai negoziati di adesione con il Regno Unito, la Danimarca, l’Irlanda e la Norvegia, Bruxelles condusse negoziati per «l’instaurazione di relazioni particolari» con i «non candidati» membri dell’AELS, cioè Finlandia, Islanda, Austria, Portogallo, Svezia e Svizzera. Una frammentazione economica dell’Europa occidentale andava evitata, ma al principio dei colloqui esplorativi non era ancora chiaro fino a che punto questi Stati avrebbero dovuto contribuire al progetto di integrazione europeo. Per i negoziatori svizzeri la «gamma delle possibili soluzioni con la CEE» andava da «una soluzione vicina all’adesione» fino ad un «consueto contratto commerciale» (dodis.ch/36157). Una collaborazione istituzionale della Svizzera? Nella sua dichiarazione di apertura dei colloqui nel novembre del 1970 a Bruxelles, il consigliere federale Brugger sottolineò il già «alto grado di interdipendenza economica esistente tra la Svizzera e la CEE», in particolare negli scambi commerciali, dove la percentuale del 75 % delle importazioni svizzere e del 60 % delle esportazioni «non viene raggiunta da nessun altro Stato terzo» (dodis.ch/36161). Il capo-negoziatore dell’accordo, Paul Jolles, direttore della Divisone del Commercio del Dipartimento federale dell’economia pubblica, sapeva che sia la Svizzera, sia la Comunità Europea (CE) si stavano inoltrando in un territorio inesplorato. «Il chiarimento di nuove modalità di collaborazione appropriate richiede fantasia creativa ed il tempo necessario», formulò quasi fosse un chiaroveggente l’ambasciatore Jolles. L’ardua missione, infatti, 50 anni dopo era ancora irrisolta: «Il compito più difficile sarà senza dubbio dare forma alla collaborazione istituzionale della Svizzera nel processo di integrazione» (dodis.ch/35774). I risultati dell’accordo Alla fine, una soluzione istituzionale esaustiva non fu raggiunta. Il consigliere federale Brugger firmò il 22 luglio 1972 un accordo nel quale «non era prevista assolutamente nessuna partecipazione all’integrazione politica dell’Europa». In compenso il contratto liberò dai dazi vigenti più del 90 % delle esportazioni svizzere nella CEE, in particolare i prodotti industriali, e fissò delle regole della concorrenza (dodis.ch/36210). Una condizione preliminare della CEE era stata la «regolamentazione del delicato problema dello ‹Swiss made›», che fu possibile risolvere due giorni prima nell’accordo sui prodotti dell’industria orologiera (dodis.ch/35586). Benché sia mancata una «regolamentazione dei problemi della seconda generazione (per esempio nei campi delle politiche monetaria, energetica, ambientale e dei trasporti)», come riassunse il negoziatore Jolles, fu comunque possibile «istituire un rapporto duraturo con possibilità di consultazione» con la CEE (dodis.ch/34608). Uno sviluppo irreversibile verso l’Europa Nel corso dei trattati la Svizzera aveva insistito con l’argomento della minaccia di una bocciatura al momento del referendum popolare, mettendo così sotto pressione la CEE. Tuttavia, non fu solo per salvare la faccia nei confronti dell’estero che il Consiglio federale sottopose l’accordo di libero scambio al referendum obbligatorio. «Anche la nostra collaborazione europea viene consolidata a lungo termine con questo contratto», questa l’arringa del ministro dell’Economia Brugger davanti al Consiglio federale, «e ci leghiamo economicamente in maniera salda – anche se ‹solo› attraverso un accordo di libero scambio – pur sempre con una comunità di più di 300 milioni di abitanti». L’opzione di una disdetta dall’accordo «per ragioni pratiche difficilmente potrà venir presa». Il ministro degli Interni Hans-Peter Tschudi aggiunse nel dibattito del Consiglio federale «che l’accordo con la CEE dava l’inizio ad uno sviluppo praticamente irreversibile del nostro paese verso l’Europa» (dodis.ch/35778). Diritto popolare e politica estera La votazione sull’Accordo di libero scambio fu anche il preludio della pianificata espansione dei diritti popolari nell’ambito di un riordinamento del referendum sui trattati internazionali. Le decisioni in politica estera dipendevano sempre maggiormente dall’approvazione dei cittadini. Il Consiglio federale aveva perciò deciso sin dall’inizio dei negoziati di creare attraverso una rafforzata politica di comunicazione «un clima di interesse, apertura e comprensione presso la grande massa per i grandi problemi che riguardano il destino del paese […] non come opera propagandistica, bensì essenzialmente didattica» (dodis.ch/35368). È tuttavia eclatante, a questo proposito, una nota dell’Ufficio dell’integrazione responsabile per le relazioni con Bruxelles dal titolo «Ciò che nell’informare la popolazione sull’accordo Svizzera-CEE non va detto» (dodis.ch/36230). Il popolo e i cantoni accettarono infine l’Accordo di libero scambio il 3 dicembre 1972 con il 72,5 % dei voti. «Da allora la politica europea del Consiglio federale non ha mai più ottenuto una tale alta legittimazione», riassume il direttore di Dodis, Sacha Zala. «Popolo e cantoni impedirono, infatti, un’ulteriore integrazione della Svizzera in Europa con le votazioni sull’accordo sul SEE nel dicembre del 1992».  
leggi tutto
Da sinistra: I presidenti Šuškevič (Bielorussia), Karimov (Uzbekistan) e Nazarbaev (Kazakistan) con il presidente Felber durante un ricevimento a Davos, il 1° febbraio 1992. Fonte: dodis.ch/60614.

30 anni fa – La dissoluzione dell'URSS e il riconoscimento degli stati post-sovietici

Esattamente 30 anni fa, il 23 dicembre 1991, la Svizzera fu uno dei primi paesi a riconoscere gli Stati post-sovietici. «Insieme al riconoscimento anticipato della Repubblica popolare cinese il 17 gennaio 1950, questa fu una delle poche anomalie dell’abituale prudenza nella politica di riconoscimento della Svizzera», spiega Sacha Zala, direttore del Centro di ricerca Documenti diplomatici svizzeri (Dodis). Seguendo il principio quasi sacrosanto del «non essere né tra i primi, né tra gli ultimi», il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) generalmente aveva sempre tenuto un profilo basso nelle questioni di riconoscimento. «Tanto più sorprendente», afferma Thomas Bürgisser, responsabile redazionale del volume di prossima pubblicazione dei Documenti diplomatici svizzeri sull’anno 1991, «che la Svizzera agì senza esitazione quel 23 dicembre e fu quindi tra i primissimi Stati a riconoscere l’indipendenza delle ex repubbliche sovietiche». Infatti, fino al 1991, l’URSS era costituita da 15 repubbliche federate che, de jure, godevano di ampi diritti di sovranità, ma de facto erano subordinate al potere centrale di Mosca. La fase iniziale nei paesi baltici La caduta dell'impero sovietico nel 1991 avvenne ad una velocità vertiginosa. Iniziò con le repubbliche baltiche dell’Estonia, Lettonia e Lituania, i cui sforzi per ottenere l’indipendenza furono violentemente contrastati, in particolare nel non riuscito colpo di stato in agosto, a Mosca (dodis.ch/C1951). Il 28 agosto, il Presidente della Confederazione Flavio Cotti poteva informare i presidenti dei tre Stati della decisione del Consiglio federale «che la Svizzera stabilirà relazioni diplomatiche complete con le tre repubbliche baltiche indipendenti» (dodis.ch/C2196). Dal 3 al 6 settembre 1991, una delegazione guidata dall’ambasciatore Jenö Staehelin, capo della Divisione politica I del DFAE, intraprese un viaggio a Tallinn, Riga e Vilnius per formalizzare la ripresa delle relazioni diplomatiche attraverso uno scambio di lettere (dodis.ch/57645). Creazione della Comunità degli Stati indipendenti Il processo di erosione dell’impero sovietico continuò senza sosta. L’8 dicembre 1991, i presidenti della Russia, Bielorussia e Ucraina fondarono la «Comunità degli Stati Indipendenti» (CSI) nel contesto degli accordi di Minsk. In questa occasione, dichiararono seduta stante che l’Unione Sovietica «come soggetto del diritto internazionale e come realtà geopolitica cessa di esistere» (dodis.ch/60365). Poco dopo, il DFAE deliberò sulla posizione ufficiale della Svizzera. Nella riunione, così le discussioni, «ha prevalso l’opinione che non sia più necessario aspettare il riconoscimento, vista l’evidenza dell’ormai avvenuto raggiungimento del punto di non ritorno. È tuttavia necessario riconoscere non soltanto le repubbliche slave ma anche quelle che stanno lottando per essere riconosciute, nella misura in cui il riconoscimento non sia soggetto a controversie» (dodis.ch/58737). Conferenza telefonica prima di Natale Il 21 dicembre, attraverso la dichiarazione di Alma-Ata (Almaty), quasi tutte le restanti repubbliche dell’URSS si aggregarono alla CSI . Sembrava fosse stato raggiunto il point of no return. Alle ore 13.30 di lunedì 23 dicembre, durante una conferenza telefonica, il Consiglio federale discusse la proposta del DFAE trasmessa a mezzogiorno dalla Cancelleria federale via fax, riguardo al riconoscimento ufficiale e l’instaurazione di relazioni diplomatiche con la Federazione Russa e le repubbliche dell’Ucraina, Bielorussia, Kazakistan, Moldavia, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan (dodis.ch/57514). «È importante che la Svizzera stabilisca al più presto dei contatti con le nuove repubbliche», dichiarò il Consigliere federale Jean-Pascal Delamuraz alla richiesta del capo del DFAE René Felber (dodis.ch/57766). Dopo 15 minuti di deliberazione, il Consiglio federale prese la sua ultima decisione dell’anno, la numero 2518. Gratitudine per il riconoscimento precoce La sera stessa, il DFAE notificò il riconoscimento ai presidenti Ter-Petrosyan, Mütallibov, Šuškevič, Nazarbaev, Akayev, Snegur, El’cin, Nabiev, Nyýazow, Kravčuk e Karimov per telex tramite l’ambasciata svizzera a Mosca (dodis.ch/C1950). Il Consiglio federale aspettò «per ragioni pratiche» prima di notificare il riconoscimento della Georgia, che non aveva aderito alla CSI e la cui situazione politica interna sembrava confusa. Il riconoscimento precoce avrebbe dato i suoi frutti: «Durante i miei viaggi nelle repubbliche post-URSS», notò l’ambasciatore svizzero a Mosca, Jean-Pierre Ritter, «sono rimasto impressionato dalla soddisfazione e persino dalla gratitudine che ogni volta ci viene dimostrata per essere stati i primi in Europa occidentale a notificare il nostro riconoscimento delle nuove indipendenze e i primi a presentarsi sul posto per formalizzare lo stabilimento delle relazioni» (dodis.ch/59825). Instaurazione delle relazioni diplomatiche  La continuità delle relazioni con la Federazione Russa come successore legale dell’URSS fu stabilita già nel gennaio 1992, tramite un semplice scambio di note tra Mosca e Berna (dodis.ch/61322 e dodis.ch/61319). L’ambasciatore Ritter si recò successivamente a Erewan e Baku come inviato speciale al fine di stabilire relazioni diplomatiche con l’Armenia e l’Azerbaigian (dodis.ch/61278e dodis.ch/61241). All’inizio di febbraio, il DFAE inviò il capo della Direzione degli affari amministrativi e del servizio estero, l’ambasciatore Johann Bucher, in missione speciale a Kiev e Minsk per formalizzare le relazioni con l’Ucraina e la Bielorussia (dodis.ch/60848). In giugno, l’ambasciatore Ritter si recò nuovamente ad Alma-Ata per l’instaurazione delle relazioni con il Kazakistan (dodis.ch/60853). Il 23 marzo 1992, dopo che Berna notificò il riconoscimento della Georgia – che come le tre repubbliche baltiche non aderì alla CSI (dodis.ch/61323) –, l’ambasciatore Ritter visitò anche Tbilisi in giugno, dove stabilì relazioni e presentò le sue credenziali al nuovo presidente Eduard Shevardnadze (dodis.ch/61191). Infine, in luglio, fu la volta di Ashgabat (Turkmenistan) e Tashkent (Uzbekistan) (dodis.ch/61106). Contatti presidenziali  La partecipazione di delegazioni di alto livello degli Stati della CSI al Forum economico mondiale (WEF) di Davos offrì al ministro degli esteri Felber, Presidente della Confederazione nel 1992, la possibilità d’incontrare i presidenti Ter-Petrosyan (Armenia), Mütallibov (Azerbaigian), Šuškevič (Bielorussia), Nazarbaev (Kazakistan), Snegur (Moldavia) e Karimov (Uzbekistan), nonché l’occasione per uno scambio di vedute approfondito con il presidente ucraino Leonid Kravčuk (dodis.ch/61277 e dodis.ch/61354). In febbraio fu pure deciso di stabilire relazioni diplomatiche tra la Svizzera e il Kirghizistan (dodis.ch/60852), in occasione di una visita del presidente Askar Akayev al Presidente della Confederazione Felber a Berna, organizzata con breve preavviso. Il 2 settembre 1992, a Berna, ci fu uno scambio di lettere tra Felber e il presidente moldavo Mircea Snegur, al fine di stabilire delle relazioni diplomatiche (dodis.ch/61317). Varie missioni e discordie La presa di contatto con gli Stati post-sovietici hanno avuto luogo attraverso diversi canali. In aprile e luglio per esempio, le delegazioni di alto livello dell’Amministrazione federale delle finanze visitarono i paesi della CSI. In vista dell’adozione del messaggio complementare del Consiglio federale sul proseguimento della cooperazione rafforzata con gli Stati dell’Europa centrale e orientale (dodis.ch/59002), che prevedeva un’estensione dei crediti allo sviluppo alla CSI, in agosto e settembre, il DFAE ordinò due missioni in tutte le repubbliche dell’Asia centrale e della Transcaucasia. La prima fu nuovamente guidata dall’ambasciatore Staehelin, mentre la seconda dal suo vice, Daniel Woker. Le delegazioni comprendevano anche rappresentanti dell’Ufficio federale per gli affari economici esteri (dodis.ch/61252 e dodis.ch/61250). Il coordinamento tra le varie missioni non fu sempre facile e portò talvolta a disaccordi e conflitti di competenze (dodis.ch/58143, dodis.ch/60836 e dodis.ch/60846). «Helvetistan» e Heidi Tagliavini «Il vivo interesse delle autorità svizzere apre la prospettiva a due sviluppi», così afferma lo storico presso il centro di ricerca Dodis Thomas Bürgisser. Da un lato, dopo l’adesione alle istituzioni di Bretton Woods, la Svizzera voleva assicurarsi un posto nel consiglio esecutivo della Banca mondiale e del Fondo monetario e, a questo effetto, dovette creare un proprio gruppo di voto. Turkmenistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Azerbaigian furono, insieme alla Polonia, inseriti in questo progetto; più tardi anche Kazakistan e Tagikistan si unirono al cosiddetto «Gruppo Helvetistan». «Grazie al suo impegno in Asia centrale, la Svizzera poté assicurarsi un’influenza in queste organizzazioni finanziarie internazionali», prosegue Bürgisser. Va anche notato che l’ambasciatore Ritter fu accompagnato in ogni suo viaggio da una collaboratrice che parlava perfettamente il russo. Alla giovane diplomatica, Heidi Tagliavini, in seguito sono state più volte affidate delicate missioni in regioni di conflitto: ad esempio nel 1995 con il gruppo di assistenza OSCE in Cecenia, come rappresentante speciale dell’UE per indagare sulle cause della guerra tra Russia e Georgia nel 2008, o ancora nel 2014 come rappresentante dell’OSCE in Ucraina.
leggi tutto
Manifestazione contro il vescovo Wolfgang Haas il 17 giugno 1990 a Coira. (Keystone-SDA, Keystone, 477127 (RM))

30 anni di relazioni con il Vaticano

«Al fine di ottimizzare la rappresentanza degli interessi svizzeri nei confronti del Vaticano, vi proponiamo di nominare un ambasciatore in missione speciale presso la Santa Sede per un periodo limitato fino al 1992, e di conferire al capo della Divisione politica I il titolo di ambasciatore speciale» (dodis.ch/57567).  «Questa semplice richiesta del DFAE, approvata dal Consiglio federale esattamente 30 anni fa – il 30 ottobre 1991 – ha segnato un cambiamento epocale nelle relazioni diplomatiche tra la Svizzera e il Vaticano», spiega il direttore del centro di ricerca Dodis, Sacha Zala. «È la prima volta che la Svizzera nomina un rappresentante diplomatico presso la Santa Sede». Questo provvedimento succede a una lunga e talvolta tumultuosa storia di relazioni tra la Svizzera e il Vaticano.  Da una situazione avanguardista alla rottura delle relazioni diplomatiche  Già nel 1586, la nunziatura permanente, ossia la rappresentanza diplomatica del Vaticano, si stabilì a Lucerna. Questo fece del nunzio apostolico – dopo l’ambasciatore della Francia che già risiedeva a Soletta dal 1522 – il secondo rappresentante diplomatico in Svizzera. Questa forma di rappresentanza è rimasta sostanzialmente costante nel tempo, con l’eccezione di una pausa di cinque anni sotto la Repubblica Elvetica.  La continuità venne a mancare nel corso del Kulturkampf. Infatti, l’espulsione del vicario apostolico di Ginevra e l’aspra critica di Papa Pio IX nei confronti della Svizzera riportate nella sua enciclica del novembre 1873, portarono il Consiglio federale a constatare che prendendo atto del fatto che [avendo] «il Papa mosso gravi e ripetute accuse evidenti contro le autorità svizzere e le loro risoluzioni, [...] una rappresentanza diplomatica permanente della Santa Sede in Svizzera è diventata inutile». Nel dicembre 1873 il governo decise quindi di interrompere le relazioni (dodis.ch/42009).  La ripresa delle relazioni unilaterali  Per quasi mezzo secolo, la Svizzera non intrattenne relazioni ufficiali con il Vaticano. Fu solo durante la prima guerra mondiale che le questioni umanitarie riavvicinarono la Svizzera neutrale e lo Stato Pontificio. La convergenza di interessi si concretizzò attraverso l’internamento dei prigionieri di guerra malati e feriti (dodis.ch/43395), questa situazione permise un avvicinamento anche a livello politico.     Nel giugno del 1920, il Consiglio federale decise di riprendere le relazioni diplomatiche, ma alla «condizione esplicita che, poiché la Svizzera non aveva praticato la reciprocità in passato, non [avrebbe potuto] praticarla in futuro» (dodis.ch/44597 e dodis.ch/44567). Inoltre, il Consiglio federale avvertì l’inviato papale «che stava entrando in un terreno alquanto difficile e che avrebbe fatto bene a non perseguire una politica di intervento nei nostri affari interni e ad evitare con grande moderazione qualsiasi questione che potesse dare origine a discordie tra cattolici e protestanti o tra gli stessi cattolici» (dodis.ch/44598).  Un avvicinamento alle relazioni bilaterali  Dal 1920, il Vaticano è nuovamente rappresentato ufficialmente in Svizzera da un nunzio apostolico. L’unilateralità delle relazioni fu rigorosamente rispettata anche dopo la Seconda guerra mondiale per paura di «provocare lotte confessionali in alcune zone del nostro paese» (dodis.ch/6680 e dodis.ch/6681). Solo nel 1963 ci furono segni di un cambiamento di opinione (dodis.ch/18831). Tuttavia, il governo federale considerò come prioritaria una revisione totale della Costituzione federale e, insieme ad essa, l’eliminazione degli articoli confessionali eccezionali (interdizione dei gesuiti). Per questo motivo, «passerà ancora del tempo prima che un rappresentante diplomatico sia accreditato presso la Santa Sede», come assicurò il consigliere federale Willy Spühler alla Commissione di politica estera del Consiglio nazionale nel 1968 (dodis.ch/32151).  Normalizzazione delle relazioni  Le previsioni di Spühler si riveleranno corrette. Il Consiglio federale prenderà in considerazione solamente a partire dal 1987 la possibilità di una «normalizzazione graduale» delle relazioni (dodis.ch/57616). La scelta stessa dei termini utilizzati diede luogo a disaccordi. Nel 1988, per esempio, il nunzio si lamentò del fatto che «si parla sempre di ‹normalizzare› le relazioni», mentre esistevano già delle «relazioni diplomatiche normali, che potrebbero però essere ‹perfezionate› con l’istituzione di un’ambasciata svizzera» (dodis.ch/58648). Tuttavia, due anni dopo, lo stesso nunzio descrisse la natura unilaterale delle relazioni come «assurda e superata» (dodis.ch/58647).  La spinta decisiva fu infine data dal «caso Haas», all’inizio degli anni 1990. Le controversie sulla nomina dell’arci-conservatore Wolfgang Haas a vescovo di Coira mostrarono chiaramente le conseguenze del fatto che «la realtà svizzera [fosse] riportata a Roma solo nella percezione del nunzio» (dodis.ch/57567). Il DFAE esaminò in dettaglio diverse opzioni (dodis.ch/56234) e infine presentò al Consiglio federale la proposta di nominare uno dei suoi capi, il riformato Jenö Staehelin, come ambasciatore temporaneo in missione speciale (dodis.ch/57567).  Nel 2004, il Consiglio federale decide di uniformizzare la situazione accreditando nuovamente un ambasciatore svizzero all’estero presso la Curia. Il 1° ottobre 2021 – quasi 31 anni dopo la prima nomina di un ambasciatore in missione speciale – il Consiglio federale ha deciso di istituire un’ambasciata svizzera presso la Santa Sede. «La tensione che ha storicamente prevalso tra il liberalismo dello Stato federale e l’ultramontanismo continua ad esistere in quanto le relazioni diplomatiche non sono prive di controversie e sono tutt’ora caratterizzate da una costante prudenza», riassume il direttore di Dodis, Sacha Zala.
leggi tutto
Il 7 settembre 1991, circa 1’200 invitate e invitati dalla Svizzera e dall’estero si riunirono a Sils per la «Giornata dell’Europa». I discorsi e la cerimonia si svolsero nella tenda Botta, la «parentesi visiva» delle celebrazioni del 700° anniversario. (dodis.ch/60332)

700° anniversario della Confederazione – la dimensione internazionale

Dal 1291 al 1991 – 700 anni della Confederazione – un motivo per festeggiare. Questo è quello che la Svizzera disse a sé stessa alla fine degli anni ‘80. «CH91» era il nome del gigantesco progetto di giubileo che si sarebbe dovuto tenere in concomitanza con un’esposizione nazionale intorno al lago dei Quattro Cantoni – e che fallì clamorosamente nel 1987 a causa del voto nella Svizzera centrale. Il nuovo concetto, più decentralizzato, con il motto «Incontri 1991» e la direzione generale del delegato del Consiglio federale, Marco Solari, dovevano contrastare il gigantismo della prima proposta e dare spazio alla dimensione cosmopolita della Svizzera (dodis.ch/59889). Insieme alla «Festa della Confederazione» e alla «Festa delle quattro culture», la «Festa della solidarietà» doveva far capire che «la Svizzera si considera parte della comunità delle nazioni ed è anche disposta a contribuire alla formazione di questa comunità globale» (dodis.ch/57786).Giornata delle relazioni internazionali  Il segnale di partenza per la dimensione internazionale della trilogia del giubileo fu dato dalla «Giornata delle relazioni internazionali» del 14 giugno 1991 (dodis.ch/C1922). Con il segretario generale dell’ONU, Javier Pérez de Cuéllar, la segretaria generale del Consiglio d’Europa, Catherine Lalumière, e il segretario generale dell’AELS, Georg Reisch, nonché i ministri degli esteri degli Stati vicini, il Consiglio federale ricevette ospiti illustri per colloqui politici nella tenuta di campagna del Lohn (dodis.ch/57698). Altri ospiti invitati dalla Svizzera e dall’estero presero parte alla consecutiva cerimonia a Palazzo federale. Tra gli oratori, era presente il segretario generale dell’ONU, che parlò delle tre «meraviglie» della Svizzera: unita sebbene multiforme, preoccupata della sua indipendenza ma aperta al mondo e, infine, povera di risorse naturali ma ricca (dodis.ch/59057). Il mondo incontra i Grigioni  L’estate fu meno ufficiale, ma tanto più colorata nei Grigioni, il cantone che ospitò l’evento centrale della Festa della solidarietà. Il Festival internazionale ricoprì un ruolo importante per i paesi extraeuropei, che, attraverso numerosi corsi, concerti, progetti di scambio, workshop e una grande festa popolare a Coira, permise incontri personali con persone provenienti da tutto il mondo. Comparato a quest’ultimo, che ebbe un grand successo, il simposio «Chi possiede il mondo?», dedicato al dialogo Nord-Sud, fu un po’ al di sotto delle aspettative (dodis.ch/59059). L’ospite d’onore originariamente previsto dello Zimbabwe, Robert Mugabe, declinò l’invito a causa di altri impegni (dodis.ch/57946).«Fedeltà all’Europa»  Gli «Incontri europei» in Engadina corrisposero infine alla volontà del Consiglio federale di sottolineare in modo particolare le relazioni tra la Svizzera e l’Europa durante la fase decisiva dei negoziati con la CE sul trattato SEE (dodis.ch/57786) e offrirono la possibilità di contribuire alla creazione della nuova Europa guardando oltre le frontiere nazionali (dodis.ch/57787). In particolare, anche le giovani generazioni avrebbero dovuto essere coinvolte nel dialogo: Nell’ambito della settimana dell’incontro «Spiert Aviert» (in retoromancio «Mente aperta»), le e i giovani di tutta Europa si sono scambiati opinioni sul futuro europeo, pensieri che furono ascoltati anche durante la cerimonia ufficiale alla fine della settimana.La Giornata dell’Europa del 7 settembre a Sils-Maria diventò uno degli eventi centrali di tutte le celebrazioni del 700° anniversario (dodis.ch/C1921) e volle essere intesa come «la testimonianza di fedeltà della Svizzera» all’Europa, come fu nuovamente proclamato nel rapporto finale al Consiglio federale (dodis.ch/59883). Tre personalità note, Elisabeth Guigou, Mario Monti e Carl Friedrich von Weizäcker, parlarono della loro visione del futuro dell’Europa, e il presidente Flavio Cotti si rivelò un europeo convinto durante un suo discorso visionario (dodis.ch/57668). L’apparizione di Bronislavas Kuzmickas, vicepresidente del Consiglio di Stato lituano, rappresentava simbolicamente i nuovi legami con l’est del continente. La Giornata dell’Europa è stata quindi un grande successo, offuscato solo dagli «ingorghi sulla strada verso il tendone» causati dall’aristocrazia europea, che era presente in gran numero (dodis.ch/57683). Sfatare i luoghi comuni  Con festeggiamenti di questo genere e numerose manifestazioni organizzate dalle ambasciate svizzere e dalle associazioni svizzere locali, il 700° anniversario fu notato anche all’estero (dodis.ch/55757). Infine, ma non meno importante, la «probabilmente più vasta campagna d’informazione mai organizzata dalla Svizzera all’estero» attirò l’attenzione internazionale. Furono prodotti comunicati stampa, loghi e foto, furono organizzate conferenze stampa e inviati inviti per «promuovere un’immagine d’insieme e lungimirante della Svizzera presso un vasto pubblico mondiale» (dodis.ch/58068). I falsi stereotipi dovevano essere dissipati e la Svizzera presentata come dinamica, aperta e autocritica – una pretesa che non sempre poté essere soddisfatta. L’ambasciatore svizzero in Nigeria lamentò che l’informazione sull’aiuto allo sviluppo svizzero era troppo selettiva, critica e distorta (dodis.ch/58044).«Sdebitamento: una questione di sopravvivenz»  Con la petizione «Sdebitamento: una questione di sopravvivenz» lanciata dalle agenzie di aiuto, la cooperazione tecnica ha trovato un posto di rilievo nell’anno dell’anniversario, che è stato preso come occasione per «dimostrare una solidarietà rafforzata e rinnovata anche verso i membri più deboli della comunità internazionale» (dodis.ch/56084). Un credito quadro di 700 milioni di franchi è stato concesso, da un lato per finanziare misure di sgravio del debito a favore dei paesi in via di sviluppo più poveri e, dall’altro, per finanziare programmi e progetti ambientali di portata mondiale.Allo stesso tempo, innumerevoli altri eventi, mostre, progetti, feste decentralizzate e celebrazioni nello spirito del 700° anniversario riempirono l’anno 1991: i giovani di tutto il mondo furono invitati a danzare dal Cantone di Zurigo alla festa mondiale della gioventù (dodis.ch/57568), la «quinta Svizzera» inaugurò la nuova piazza delle svizzere e degli svizzeri all’estero a Brunnen e nel Parlamento federale i giovani discussero la politica estera svizzera nell’ambito della prima sessione dei giovani (dodis.ch/58000).Anniversario premuroso  Così, alla fine del 1991, l’ufficio del delegato del Consiglio federale tracciò un bilancio positivo dell’anno dell’anniversario: «A tutti i livelli, le celebrazioni per il 700esimo hanno contribuito fortemente a abbattere le frontiere e a ridurre gli antagonismi» (dodis.ch/59883). Tuttavia, i problemi di avviamento del progetto di anniversario, lo shock pubblico per l’affare Fichen scoppiato nel 1989, l’indignazione per la richiesta, percepita come ipocrita, che le persone svizzere attive in campo partecipassero in modo creativo alla celebrazione e il boicottaggio culturale associato sono rimasti indiscussi. Anche il gruppo di progetto del Festival internazionale fu colpito da questa ondata critica, ma si attenne al progetto: in modo che il festival non fosse una celebrazione giubilante, ma «un impulso a riflettere sul ruolo della Svizzera nel mondo» (dodis.ch/59063).
leggi tutto
RTR Cuntrasts: 1923 sajetta Moritz Conradi a Losanna in diplomat sovietic d’aut rang. Il Russ-Svizzer cun ragischs grischunas vesa sa sez sco il nov Gugliem Tell che vul deliberar la carstgaunadad dal communissem.

L’«affera Conradi»: L’assassin grischun e la revoluziun

Avant 40 onns ha el purschì materia per in film da kino russ «emplenì cun clischés sovietics» (dodis.ch/49291). L’onn 1977 s’interessavan era cineasts en Svizra per «il tema anc adina pulit brisant» (dodis.ch/49292): I sa tracta da l’assassinat dal diplomat sovietic Wazlaw Worowski tras Moritz Conradi, in Svizzer en Russia, l’onn 1923 a Losanna. In mazzament cun consequenzas extendidas.Film documentar da Helen Stehli-Pfister Uss ha Helen Stehli-Pfister realisà per RTR in film documentar davart quest mument central da las relaziuns svizras-sovieticas en il temp tranter las guerras. Da la partida sco expert è Sacha Zala, directur dal post da perscrutaziun Documents Diplomatics da la Svizra. A chaschun da la premiera dal film ils 5 da mars 2017 ha il DDS arranschà in e-dossier cuntegnend documents istorics exclusivs ord la banca da datas online Dodis davart l’«affera Conradi».In mazzament a LosannaIgl è il confess d’in assassin: «Forsa vegnan pir noss vegnintsuenter a chapir mia acziun ed esser engraziaivels ch’jau hai cumbattì sco emprim cunter questa banda da delinquents internaziunala», ha Moritz Conradi dà per protocol a la polizia da Losanna. Ils 10 da matg 1923 aveva el schluppettà en l’Hotel Cécil davant perditgas il diplomat sovietic Wazlaw Worowski. Suenter il murdraretsch ha el sa laschà arrestar senza resistenza. El aveva agì ord persvasiun: «Tranter tals ch’èn sa participads al declin da la Russia ed indirectamain a quel da l’entira umanitad, na dati nagins innocents» (dodis.ch/48619).  Svizzer en Russia ed anti-bolschevist ardent  Ils Conradis, emigrads en la mesadad dal 19avel tschientaner dal Grischun, manavan a St. Petersburg, da lezza giada chapitala da la Russia zaristica, ina pastizaria flurinta. Suenter la Revoluziun d’october l’onn 1917 èn lur bains vegnids expropriads; il bab e l’aug da Moritz assassinads dals Bolschevichi. Durant la guerra burgaisa russa ha Conradi cumbattì sco uffizier da «l’Armada Alva» cunter ils «Cotschens». Suenter la sconfitta da las forzas cunterrevoluziunaras è el scappà via la Tirchia enavos en sia veglia patria. Qua è el vegnì en contact cun emigrants russ. Quests han probablamain intimà l’anti-bolschevist ardent al mazzament. «Crim dad ina persuna privata ad autras persunas privatas»?  Il di suenter l’assassinat è sa radunà il Cussegl federal a Berna. En in communiqué ha la Regenza federala sentenzià questa «violaziun da la morala e da la lescha» cun «indignaziun». Ulteriur basegn d’agir n’ha il Cussegl federal dentant betg vesì. Giuristicamain sofisticà n’ha la regenza betg taxà l’attentat sco delict politic, mabain sco «crim malign, commess dad ina persuna privata ad autras persunas privatas» (dodis.ch/44914). Il diplomat sovietic Worowski era bain delegà sco observader a la Conferenza da l’Orient ch’aveva lieu a Losanna. Pervia da divergenzas internaziunalas n’era el dentant betg accredità uffizialmain sco participant da la conferenza (dodis.ch/44913).   Decisiv per la sistida da las relaziuns La posiziun dal Cussegl federal vers l’attentat era fitg delicata. Tschun onns avant, il november 1918, aveva la Svizra exilià ina missiun sovietica, perquai ch’i vegniva renfatschà als diplomats bolschevics d’avair fatg «propaganda revoluziunara» ed aschia dad esser conculpaivels a la chauma generala svizra dal 1918 (dodis.ch/43740). Dapi lura era il rapport tranter Berna e Moscau mals (dodis.ch/44885). L’«affera Conradi» è alura stada decisiva per la sistida da las relaziuns da la Svizra cun la Russia sovieta durant plirs decennis. Pir suenter la Segunda Guerra mundiala han las duas regenzas puspè reprendì contacts uffizials. Cumplicitad dal Cussegl federal?  En ina nota diplomatica ha il minister da l’exteriur Georgi Tschitscherin crititgà vehementamain la posiziun dal Cussegl federal concernet il murdraretsch: La «refusaziun illegitima» dad attribuir il status diplomatic a Worowsi, saja stà in «act nunlubì ed ostil» ed haja chaschunà ina «situaziun anormala ed ambigua» che haja provocà attatgas cunter il delegà sovietic. Tuttina n’hajan las autoritads «prendì naginas mesiras preventivas» per impedir in act da violenza cunter el. Perquai portia la regenza svizra ina «responsabladad absolutamain evidenta e gronda», ina cumplicitad a l’assassinat (dodis.ch/44916).  Murdraretsch cunter violenza revoluziunara  Il Cussegl federal ha reagì cun in telegram salà sin las «accusaziuns impertinentas e malvulentas» da Tschitscherin. Il Departement politic federal (DPF, oz DFAE), manà dal anti-communist persvadì Giuseppe Motta, ha refusà tut las renfatschas ed è passà a la cunterattatga. I saja chaussa da la Regenza sovieta da finalmain conceder in’indemnisaziun per «las expropriaziuns ed ils acts da violenza nunditgs» ch’èn vegnì commess durant la revoluziun a millis Svizzers en Russia (dodis.ch/44917). Il process penal cunter Conradi menà fitg emoziunalmain vegn era a suandar questa logica. Acquittament da l‘assassin Las tractativas davant la dretgira da giuraders a Losanna durant il november 1923 eran orientadas pli pauc vers il mazzament effectiv, mabain vers la qualificaziun dal reschim da cussegls en Russia. A moda explicativa è l’act da Conradi vegnì congualà cun il destin tragic da sia famiglia, las suffrientschas dals Svizzers en Russia en general e las unfrendas dals Bolschevichi (dodis.ch/48632 e dodis.ch/48633). Ils giuraders han alura pelvair acquittà l’assassin. Na betg mo en Russia era l’indignaziun gronda. Il Cussegl federal da l’autra vart ha refusà tut las renfatschas cun renviament rigurus al federalissem e la separaziun da las pussanzas (dodis.ch/44953).  Represa da relaziuns per aut pretsch La Russia sovieta ha decretà in scumond d’en- ed extrada per Svizras e Svizzers e declarà in boicot per martganzia svizra. Prest ha Moscau signalisà interess per ina «regulaziun da la situaziun», insistiva dentant «sin ina tscherta satisfacziun en chaussa Worowski» (dodis.ch/44999). Adina puspè è il chass vegnì negozia cun mediaziun internaziunala (dodis.ch/45015 e dodis.ch/45172). L’onn 1927 è vegnì cuntanschì almain ina sligiaziun temporara (dodis.ch/45319). Igl ha dentant cuzzà fin l’onn 1946, fin che Berna – per in aut pretsch politic – ha cuntanschì la represa da relaziuns uffizialas cun la URSS (cf. e-dossier).  Vus pudais leger quest e-dossier era per tudestg, franzos, talian ed englais.Per il film: Link RTR.Data d'emissiun:dumengia, ils 05-03-2017, 17:25 sin SRF1mesemna, ils 08-03-2017, 08:35, 09:30 e las 12:50 sin SRF infogievgia, ils 09-03-2017, 11:00 sin SRF infovenderdi, ils 10-03-2017, 13:15 sin RSI LA2sonda, ils 11-03-2017, 14:20 sin RTS 2 e las 17:15 sin SRF1dumengia, ils 12-03-2017, 07:30 sin RSI LA1mardi, ils 14-03-2017, 14:55 sin RTS 2
leggi tutto
Il ministro Walter Stucki, capo della delegazione svizzera, in partenza per Washington. Cinegiornale svizzero del 22 marzo 1946, cfr. dodis.ch/dds/1169.

Gli accordi di Washington di 1946

Nella primavera del 1946 una delegazione svizzera di alto livello si recò a Washington per negoziare la liberazione di beni patrimoniali svizzeri bloccati negli USA e la fine del boicottaggio alleato contro le aziende che avevano fatto affari con le potenze dell’Asse durante la Seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia chiedevano in cambio la consegna di beni tedeschi depositati su conti svizzeri. Gli accordi di Washington (dodis.ch/1725), conclusi dopo duri negoziati 70 anni fa, il 25 maggio 1946, furono una pietra miliare nella politica estera svizzera. Furono la soluzione che permise alla Svizzera di uscire dall’isolamento e aprire la via per l’integrazione del paese nell’ordine postbellico. «Un tormento per tutti gli svizzeri che amano la libertà» Ancora durante la guerra, nel 1944, la pressione degli Alleati sulla Svizzera era aumentata enormemente. Il paese era accusato di aver approfittato del conflitto e di mantenere forti legami economici con la Germania nazista nonostante la prevedibile sconfitta di quest’ultima. «Sarebbe davvero un tormento per tutti gli svizzeri che amano la libertà se percepissero di aver ostacolato in qualche modo gli sforzi di altri paesi amanti della libertà per salvare il mondo da un tiranno senza scrupoli», ammonì il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt, rivolgendosi nel gennaio 1945 al presidente della Confederazione Eduard von Steiger (dodis.ch/47946, originale in inglese). I media espressero il concetto in termini ancora più diretti: «Nella stampa americana siamo accusati di sostenere il loro nemico mortale» (dodis.ch/47994, originale in tedesco). Nella primavera del 1945 una delegazione alleata pretese il congelamento dei beni tedeschi in Svizzera, la fine delle esportazioni verso il Terzo Reich e delle transazioni in oro con la Reichsbank e l’interruzione del traffico di transito tra la Germania e il Norditalia. L’accordo Currie dell’8 marzo 1945 L’8 marzo 1945 la Svizzera accettò buona parte delle condizioni poste dal capo della delegazione statunitense Lauchlin Currie (dodis.ch/47990). Nel cosiddetto accordo Currie non fu tuttavia chiarita la questione dei valori patrimoniali tedeschi nelle banche svizzere e quindi della tutela del segreto bancario. Una pubblicazione di dati relativi ai clienti avrebbe «dato il colpo di grazia alla reputazione di discrezione» e «rovinato» il paese, «perché alla prima occasione il capitale straniero fuggirebbe altrove», ammonì l’Associazione svizzera dei banchieri (dodis.ch/48006, originale in francese). I banchieri richiamarono l’attenzione sul «contributo alla bilancia svizzera dei pagamenti e al gettito fiscale del denaro proveniente dall’estero», lamentando che «sarebbe una disgrazia se si distruggesse per decenni ciò che è stato costruito nei decenni scorsi» (dodis.ch/67, originale in tedesco). La diplomazia «ha sempre difeso gli interessi delle banche svizzere e non intende cambiare posizione», affermò il consigliere federale Max Petitpierre, il nuovo ministro degli esteri svizzero, nel tentativo di calmare le acque (dodis.ch/38, originale in francese). Il ministro Stucki va a Washington La pressione degli Usa non cessò. Washington congelò gli averi svizzeri negli Stati Uniti e inserì le persone e le aziende che avevano avuto relazioni commerciali con la Germania in cosiddette «liste nere». Il Consiglio federale nominò il diplomatico bernese Walter Stucki alla testa della delegazione che doveva partecipare a una nuova tornata di negoziati con gli USA, la Gran Bretagna e la Francia. «Sul piano della sovranità svizzera non cederemo in alcun modo», affermò Stucki durante una discussione preliminare (dodis.ch/65, originale in tedesco). «L’obiettivo principale» era «arrivare con gli Alleati a una soluzione che tenga conto delle convinzioni giuridiche e degli interessi svizzeri e che inoltre sia atta a disperdere l’atmosfera di diffidenza nei confronti della Svizzera che ancora oggi pervade il campo alleato». Il ministro Stucki prevedeva di smontare passo dopo passo le richieste, fino alla «demolizione della base delle pretese alleate» (dodis.ch/68, originale in tedesco). «Una villania inaudita» Quel che aspettava la Svizzera a Washington rese però presto vane tutte le aspettative. Stucki si vide obbligato a tornare personalmente a Berna in aprile per ricevere nuove istruzioni. Nel suo rapporto al Consiglio federale parlò di «due muri» che si fronteggiavano. Gli Alleati consideravano di loro proprietà i beni tedeschi in Svizzera, «non dal punto di vista strettamente giuridico, ma da un punto di vista più alto, morale». La Svizzera doveva ritenersi «obbligata, in quanto Stato privilegiato, salvato dal nostro intervento, a mettere a nostra disposizione questi beni», affermavano gli Alleati. Senza mezzi termini, gli americani fecero capire alla delegazione svizzera che avrebbe fatto meglio «a tornare a casa», se non avesse «cambiato la propria opinione». Per Stucki si trattava di «una villania inaudita». Lo stile di negoziazione insolitamente disinvolto degli americani si basava tuttavia sui rapporti di forza reali: «Gli Alleati hanno senza dubbio i mezzi per renderci la vita molto difficile», constatò l’esperto diplomatico (dodis.ch/48220, originale in tedesco).   La consegna dell’«oro rubato» Quando Stucki tornò a Washington con nuove istruzioni, lo attendeva un «vero e proprio martellamento di attacchi e calunnie». Alla fine le delegazioni si accordarono per liquidare i valori patrimoniali che cittadini tedeschi residenti in Germania avevano sui conti bancari svizzeri e di versare la metà del ricavato agli Alleati, «nell’ottica di un contributo volontario alla ricostruzione dell’Europa», e l’altra metà alla Svizzera, come compensazione dei suoi crediti verso la Germania. Al centro delle richieste alleate, in misura maggiore di quanto era prevedibile, c’era la questione dell’oro acquistato «in buona fede» dalla Deutsche Reichsbank e custodito nei forzieri della Banca nazionale. Alla fine la Svizzera dovette versare agli alleati «oro rubato» per un valore di 250 milioni di franchi, ma «senza riconoscimento di un obbligo legale». Di fatto questo «compromesso» era di poco inferiore alle richieste alleate, considerate in Svizzera «insolenti e impossibili da soddisfare» (dodis.ch/69, originale in tedesco). La questione degli «averi in giacenza» Gli accordi di Washington possono essere consultati in dettaglio nella banca dati Dodis, all’indirizzo dodis.ch/1725 (con link a tutti gli annessi). Tutti i documenti in relazione con le trattative si trovano seguendo il permalink dodis.ch/R27201 e con la parola chiave accordi di Washington. Non tutti gli annessi degli accordi erano pubblici già nel 1946. Il segreto copriva per esempio una lettera sui «valori patrimoniali in Svizzera di vittime dei recenti atti di violenza compiuti dal governo tedesco che sono morte senza lasciare eredi». Il Consiglio federale intendeva analizzare «con benevolenza» la questione di questi «averi in giacenza» (dodis.ch/1730, originale in francese). I «beni senza eredi» occuparono la diplomazia ancora per decenni (cfr. dodis.ch/T619). Il vero scandalo scoppiò solo dopo la fine della Guerra fredda, negli anni Novanta. Il giudizio dello storico«Non so come gli storici del futuro giudicheranno l’operazione che abbiamo compiuto», scrisse a giochi fatti William E. Rappard, consulente della delegazione svizzera, al consigliere federale Petitpierre. Il professore ginevrino si aspettava lodi per quanto era stato raggiunto sulla questione dell’oro, ma meno indulgenza per il «cedimento sui principi» nell’ambito dei beni tedeschi. Che il piccolo paese avesse potuto convincere le tre grandi potenze a rinunciare a «una parte notevole» delle loro richieste «equivale ai miei occhi a poco meno di un miracolo diplomatico», notava tuttavia Rappard (dodis.ch/17, originale in francese). Con le sue capacità finanziarie e industriali, la Svizzera non era per nulla il peso piuma che voleva far credere di essere. Inoltre il paese approfittava del palesarsi della Guerra fredda. Non sono tanto i contenuti degli accordi di Washington a essere centrali, quanto piuttosto i loro effetti a lungo termine: Per ottenere la normalizzazione dei rapporti con la superpotenza statunitense quasi tutti i sacrifici apparivano legittimi.
leggi tutto
Da sinistra a destra: il consigliere federale Max Petitpierre a colloquio con Eduard Zellweger (Belgrado) e Hermann Flückiger, che sarà il primo rappresentante diplomatico svizzero a Mosca. Cinegiornale svizzero del 5 aprile 1946.

L'avvio di relazioni diplomatiche con l'URSS

Il 18 marzo 1946, la Svizzera e l’Unione sovietica avviarono relazioni ufficiali, dopo quasi 30 anni di interruzione, con uno scambio di note diplomatiche avvenuto a Belgrado (dodis.ch/48190). La normalizzazione dei rapporti con la nuova superpotenza a est fu una premessa essenziale per lo sviluppo delle relazioni internazionali della Svizzera all’inizio della Guerra fredda. Epoca senza relazioni Dopo l’espulsione di una missione diplomatica sovietica nel novembre 1918 (dodis.ch/43740), tra Berna e Mosca era seguita un’«epoca senza relazioni». Il tentativo di stabilire contatti con l’URSS verso la fine della Seconda guerra mondiale (dodis.ch/47861) fu respinto bruscamente dai sovietici a causa della «politica filofascista» della Confederazione, come si legge in una dura nota diplomatica dell’autunno 1944 (dodis.ch/47881, originale in francese). In seguito a questo affronto il ministro degli esteri svizzero, il consigliere federale Marcel Pilet-Golaz, diede le dimissioni (dodis.ch/47892). La fine della guerra e i beni sovietici Per il nuovo ministro degli esteri Max Petitpierre la normalizzazione dei rapporti con la potenza vincitrice a est aveva la massima priorità. Questo risultato fu ottenuto a caro prezzo. Tra settembre e ottobre del 1945 il Consiglio federale levò il blocco, deciso nel 1941, sui beni sovietici depositati nella Banca nazionale e nelle banche private. «Sempre con l’occhio puntato all’auspicata normalizzazione dei rapporti reciproci», il governo federale considerava questo passo una «prestazione anticipata» nei confronti di Mosca (dodis.ch/57, originale in tedesco). La Svizzera pagò 20 milioni di franchi, senza che le proprie ampie richieste di risarcimento finanziario – oltre 1,5 miliardi di franchi solo per le espulsioni, i saccheggi e le espropriazioni dopo la rivoluzione del 1917 – fossero espresse (dodis.ch/51). La questione degli internati e una proposta immorale Alla fine della guerra ci si apprestava inoltre a trattare con una delegazione militare sul destino di circa 10'000 prigionieri di guerra e lavoratori coatti sovietici trasportati dalla Germania per via aerea in Svizzera. Non tutti volevano tornare in Unione sovietica; tra di loro vi erano anche un rifugiato politico e un disertore. Secondo i criteri del diritto internazionale i due russi non avrebbero potuto essere estradati. Mosca spingeva però per uno scambio con cinque diplomatici svizzeri trattenuti dall’URSS. A Berna si temeva che «il rifiuto delle proposte russe potrebbe influenzare in modo negativo la disponibilità dell’Unione sovietica ad avviare relazioni diplomatiche con la Svizzera» (dodis.ch/53, originale in tedesco). Nel dicembre del 1945 il governo decise di cedere alle pressioni sovietiche (dodis.ch/1340). La Svizzera «va a Canossa» L’accordo sugli internati spianò la strada alle trattative per la ripresa delle relazioni con l’URSS. Queste vennero intavolate con l’ambasciata sovietica a Belgrado su iniziativa del rappresentante svizzero in Jugoslavia Eduard Zellweger. I sovietici posero però di nuovo dure condizioni. Pretendevano dal Consiglio federale delle scuse per la sua passata «attitudine antisovietica». Petitpiere dapprima si rifiutò (dodis.ch/1921, originale in francese; cfr. anche dodis.ch/50). «Il Consiglio federale ha manifestato il cambiamento della sua precedente attitudine, nella misura in cui questa era scortese nei confronti dell’URSS»: così suonava la formula sulla quale alla fine fu possibile trovare un accordo (dodis.ch/48190, originale in francese). Normalizzazione dopo la catastrofe Dopo lo scambio di note del 18 marzo 1946 le cose si svilupparono in fretta. Già alla fine di aprile del 1946 il primo rappresentante diplomatico svizzero a Mosca, Hermann Flückiger, poté iniziare il suo lavoro. Anche le relazioni economiche decollarono. Nel marzo 1948 la Svizzera e l’URSS siglarono a Mosca un trattato commerciale (dodis.ch/4021). Ciononostante, le circostanze entro le quali il Consiglio federale normalizzò le sue relazioni con l’Unione sovietica furono traumatiche per la Svizzera. Le ampie concessioni e la procedura umiliante furono una catastrofe per la diplomazia elvetica ed ebbero ampie conseguenze.
leggi tutto