Gli accordi di Washington di 1946

Nella primavera del 1946 una delegazione svizzera di alto livello si recò a Washington per negoziare la liberazione di beni patrimoniali svizzeri bloccati negli USA e la fine del boicottaggio alleato contro le aziende che avevano fatto affari con le potenze dell’Asse durante la Seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia chiedevano in cambio la consegna di beni tedeschi depositati su conti svizzeri. Gli accordi di Washington (dodis.ch/1725), conclusi dopo duri negoziati 70 anni fa, il 25 maggio 1946, furono una pietra miliare nella politica estera svizzera. Furono la soluzione che permise alla Svizzera di uscire dall’isolamento e aprire la via per l’integrazione del paese nell’ordine postbellico.

«Un tormento per tutti gli svizzeri che amano la libertà»

Ancora durante la guerra, nel 1944, la pressione degli Alleati sulla Svizzera era aumentata enormemente. Il paese era accusato di aver approfittato del conflitto e di mantenere forti legami economici con la Germania nazista nonostante la prevedibile sconfitta di quest’ultima. «Sarebbe davvero un tormento per tutti gli svizzeri che amano la libertà se percepissero di aver ostacolato in qualche modo gli sforzi di altri paesi amanti della libertà per salvare il mondo da un tiranno senza scrupoli», ammonì il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt, rivolgendosi nel gennaio 1945 al presidente della Confederazione Eduard von Steiger (dodis.ch/47946, originale in inglese). I media espressero il concetto in termini ancora più diretti: «Nella stampa americana siamo accusati di sostenere il loro nemico mortale» (dodis.ch/47994, originale in tedesco). Nella primavera del 1945 una delegazione alleata pretese il congelamento dei beni tedeschi in Svizzera, la fine delle esportazioni verso il Terzo Reich e delle transazioni in oro con la Reichsbank e l’interruzione del traffico di transito tra la Germania e il Norditalia.

L’accordo Currie dell’8 marzo 1945

L’8 marzo 1945 la Svizzera accettò buona parte delle condizioni poste dal capo della delegazione statunitense Lauchlin Currie (dodis.ch/47990). Nel cosiddetto accordo Currie non fu tuttavia chiarita la questione dei valori patrimoniali tedeschi nelle banche svizzere e quindi della tutela del segreto bancario. Una pubblicazione di dati relativi ai clienti avrebbe «dato il colpo di grazia alla reputazione di discrezione» e «rovinato» il paese, «perché alla prima occasione il capitale straniero fuggirebbe altrove», ammonì l’Associazione svizzera dei banchieri (dodis.ch/48006, originale in francese). I banchieri richiamarono l’attenzione sul «contributo alla bilancia svizzera dei pagamenti e al gettito fiscale del denaro proveniente dall’estero», lamentando che «sarebbe una disgrazia se si distruggesse per decenni ciò che è stato costruito nei decenni scorsi» (dodis.ch/67, originale in tedesco). La diplomazia «ha sempre difeso gli interessi delle banche svizzere e non intende cambiare posizione», affermò il consigliere federale Max Petitpierre, il nuovo ministro degli esteri svizzero, nel tentativo di calmare le acque (dodis.ch/38, originale in francese).

Il ministro Stucki va a Washington

La pressione degli Usa non cessò. Washington congelò gli averi svizzeri negli Stati Uniti e inserì le persone e le aziende che avevano avuto relazioni commerciali con la Germania in cosiddette «liste nere». Il Consiglio federale nominò il diplomatico bernese Walter Stucki alla testa della delegazione che doveva partecipare a una nuova tornata di negoziati con gli USA, la Gran Bretagna e la Francia. «Sul piano della sovranità svizzera non cederemo in alcun modo», affermò Stucki durante una discussione preliminare (dodis.ch/65, originale in tedesco). «L’obiettivo principale» era «arrivare con gli Alleati a una soluzione che tenga conto delle convinzioni giuridiche e degli interessi svizzeri e che inoltre sia atta a disperdere l’atmosfera di diffidenza nei confronti della Svizzera che ancora oggi pervade il campo alleato». Il ministro Stucki prevedeva di smontare passo dopo passo le richieste, fino alla «demolizione della base delle pretese alleate» (dodis.ch/68, originale in tedesco).

«Una villania inaudita»

Quel che aspettava la Svizzera a Washington rese però presto vane tutte le aspettative. Stucki si vide obbligato a tornare personalmente a Berna in aprile per ricevere nuove istruzioni. Nel suo rapporto al Consiglio federale parlò di «due muri» che si fronteggiavano. Gli Alleati consideravano di loro proprietà i beni tedeschi in Svizzera, «non dal punto di vista strettamente giuridico, ma da un punto di vista più alto, morale». La Svizzera doveva ritenersi «obbligata, in quanto Stato privilegiato, salvato dal nostro intervento, a mettere a nostra disposizione questi beni», affermavano gli Alleati. Senza mezzi termini, gli americani fecero capire alla delegazione svizzera che avrebbe fatto meglio «a tornare a casa», se non avesse «cambiato la propria opinione». Per Stucki si trattava di «una villania inaudita». Lo stile di negoziazione insolitamente disinvolto degli americani si basava tuttavia sui rapporti di forza reali: «Gli Alleati hanno senza dubbio i mezzi per renderci la vita molto difficile», constatò l’esperto diplomatico (dodis.ch/48220, originale in tedesco).

 

La consegna dell’«oro rubato»

Quando Stucki tornò a Washington con nuove istruzioni, lo attendeva un «vero e proprio martellamento di attacchi e calunnie». Alla fine le delegazioni si accordarono per liquidare i valori patrimoniali che cittadini tedeschi residenti in Germania avevano sui conti bancari svizzeri e di versare la metà del ricavato agli Alleati, «nell’ottica di un contributo volontario alla ricostruzione dell’Europa», e l’altra metà alla Svizzera, come compensazione dei suoi crediti verso la Germania. Al centro delle richieste alleate, in misura maggiore di quanto era prevedibile, c’era la questione dell’oro acquistato «in buona fede» dalla Deutsche Reichsbank e custodito nei forzieri della Banca nazionale. Alla fine la Svizzera dovette versare agli alleati «oro rubato» per un valore di 250 milioni di franchi, ma «senza riconoscimento di un obbligo legale». Di fatto questo «compromesso» era di poco inferiore alle richieste alleate, considerate in Svizzera «insolenti e impossibili da soddisfare» (dodis.ch/69, originale in tedesco).

La questione degli «averi in giacenza»

Gli accordi di Washington possono essere consultati in dettaglio nella banca dati Dodis, all’indirizzo dodis.ch/1725 (con link a tutti gli annessi). Tutti i documenti in relazione con le trattative si trovano seguendo il permalink dodis.ch/R27201 e con la parola chiave accordi di Washington. Non tutti gli annessi degli accordi erano pubblici già nel 1946. Il segreto copriva per esempio una lettera sui «valori patrimoniali in Svizzera di vittime dei recenti atti di violenza compiuti dal governo tedesco che sono morte senza lasciare eredi». Il Consiglio federale intendeva analizzare «con benevolenza» la questione di questi «averi in giacenza» (dodis.ch/1730, originale in francese). I «beni senza eredi» occuparono la diplomazia ancora per decenni (cfr. dodis.ch/T619). Il vero scandalo scoppiò solo dopo la fine della Guerra fredda, negli anni Novanta.

Il giudizio dello storico

«Non so come gli storici del futuro giudicheranno l’operazione che abbiamo compiuto», scrisse a giochi fatti William E. Rappard, consulente della delegazione svizzera, al consigliere federale Petitpierre. Il professore ginevrino si aspettava lodi per quanto era stato raggiunto sulla questione dell’oro, ma meno indulgenza per il «cedimento sui principi» nell’ambito dei beni tedeschi. Che il piccolo paese avesse potuto convincere le tre grandi potenze a rinunciare a «una parte notevole» delle loro richieste «equivale ai miei occhi a poco meno di un miracolo diplomatico», notava tuttavia Rappard (dodis.ch/17, originale in francese). Con le sue capacità finanziarie e industriali, la Svizzera non era per nulla il peso piuma che voleva far credere di essere. Inoltre il paese approfittava del palesarsi della Guerra fredda. Non sono tanto i contenuti degli accordi di Washington a essere centrali, quanto piuttosto i loro effetti a lungo termine: Per ottenere la normalizzazione dei rapporti con la superpotenza statunitense quasi tutti i sacrifici apparivano legittimi.