Il caso Bührle

Già da mesi Fritz Real aveva intuito che nella guerra civile nigeriana si stavano impiegando numerosi cannoni antiaerei svizzeri esportati illegalmente. Il 12 giugno 1968 l'ambasciatore svizzero a Lagos ottenne la prova decisiva: «Oggi ho ricevuto da una fonte sicura informazioni che indicano in maniera univoca una grave violazione delle norme sulle esportazioni da parte dell'azienda Bührle & Co.» Real consigliava al Dipartimento degli esteri di chiarire «a fondo» la questione (dodis.ch/33502). Ciò che le autorità scoprirono in seguito si rivelò il più grande scandalo della storia svizzera legato all'esportazione di armi.

Cannoni svizzeri che sparano ad aerei svizzeri?

Dopo l'indipendenza, in Nigeria scoppiarono numerosi conflitti per l'egemonia politica. Prima ancora che la secessione della regione orientale del Biafra conducesse a una situazione di guerra aperta, nell'aprile del 1967 il Consiglio federale aveva emanato un divieto di esportazione di materiale bellico verso il paese dell'Africa occidentale. La guerra civile nigeriana e la terribile catastrofe alimentare che ne derivò suscitarono in Svizzera un'attenzione inedita da parte dei media e un grande impegno umanitario da parte del governo, delle associazioni caritatevoli e della popolazione. L'ipotesi che «voli charter del CICR potessero essere abbattuti da cannoni svizzeri» fu determinante nel trasformare il caso Bührle in uno scandalo di ampia portata (dodis.ch/33501).

Dichiarazioni di non riesportazione falsificate

I funzionari della Confederazione capirono gradualmente le dimensioni dello scandalo: Bührle aveva fornito alla Nigeria circa cento cannoni da 20 mm violando l’embargo. Le autorità furono tratte in inganno da dichiarazioni di non riesportazione falsificate, in cui si affermava che i cannoni erano stati venduti all’Etiopia. In realtà il materiale bellico era stato dirottato verso la Nigeria, paese interessato da un divieto di esportazione (dodis.ch/33452). Presto si scoprì che le forniture di Bührle alla Nigeria erano solo la punta dell’iceberg: anche presunte forniture alla Francia, al Belgio, all’Iran e all’Indonesia erano state reindirizzate verso Israele, Egitto, Arabia Saudita, Libano e Malaysia, tutti paesi sotto embargo. Quasi due terzi delle armi finì al Sudafrica, nonostante il divieto di esportazione deciso dal Consiglio federale nel dicembre 1963 (dodis.ch/48480).

Sentenza mite del Tribunale federale

Sebbene il Consiglio federale disponesse di chiari indizi già da mesi, solo alla fine del 1968 fu avviata un’inchiesta di polizia giudiziaria nei confronti di rappresentanti della Werkzeugmaschinenfabrik di Oerlikon (dodis.ch/33499 e dodis.ch/33433). Nell’ambito dell’inchiesta si scopri che tra il 1963 e il 1968 l’azienda aveva fornito materiale bellico a stati colpiti da embargo per un valore di circa 90 milioni di franchi, pari pressappoco al 16% del fatturato della vendita di armi da parte di Bührle. La fiducia delle autorità era stata «sfruttata per anni senza ritegno» dagli imputati. «Particolarmente riprovevole» era stato «la gestione degli affari nel caso della Nigeria». Nel novembre 1970 il direttore Dieter Bührle fu condannato a 8 mesi di reclusione e a una multa di 20'000 franchi per violazione del decreto del Consiglio federale sul materiale bellico – tre suoi collaboratori a pene detentive tra i 15 e i 18 mesi per falsità in documenti. Tutti gli imputati ottennero il beneficio della condizionale . La sentenza fu mite perché mancava una base legale per condannare l’esportazione illegale (dodis.ch/36188).

L’iniziativa per il divieto dell’esportazione di armi del 1972

Lo scandalo Bühler ebbe tuttavia conseguenze che andarono oltre la discussione del caso in sede penale. Varie iniziative parlamentari suscitarono un intenso dibattito pubblico sull’esportazione di materiale bellico. Le autorità reagirono inasprendo i meccanismi di controllo e la prassi di autorizzazione per le richieste di esportazione di armi (dodis.ch/35692). Il dilemma di fondo rimase tuttavia irrisolto: «I principi svizzeri che regolano le esportazioni hanno ben poco a che vedere con la morale, ma si basano piuttosto sull’opportunismo», riportava senza mezzi termini una nota interna delle autorità: «Per essere onesti, non lo si dovrebbe sempre celare» (dodis.ch/35572). Una soluzione radicale fu formulata dall’iniziativa popolare per il «controllo rinforzato delle industrie d'armamento e il divieto d'esportazione d'armi». L’iniziativa fu respinta di misura in votazione popolare, ottenendo il consenso del 49,7% dei votanti.

«Indebolimento dell’industria degli armamenti e della difesa nazionale»

La nuova Legge federale sul materiale bellico, entrata in vigore nel 1973, pose ulteriori limiti all’esportazione di armi. Non venivano più concesse autorizzazioni di esportazione verso territori «nei quali sono scoppiati o minacciano di scoppiare conflitti armati oppure sono manifeste tensioni pericolose». Inoltre «gli sforzi perseguiti dalla Svizzera nell’ambito delle relazioni internazionali, segnatamente quanto al rispetto della dignità umana, all’aiuto umanitario o all’assistenza allo sviluppo» non dovevano essere compromessi dalla fornitura di armamenti. In una conferenza pubblica Dieter Bührle deplorò nel 1977 queste misure, definendole un «indebolimento dell’industria degli armamenti e della difesa nazionale» - «anche se a suo tempo fornimmo motivi non irrilevanti per l’introduzione dell’attuale regolamentazione» (dodis.ch/50324).

 

Tutti i documenti Dodis sul «caso Bührle» si trovano all’indirizzo dodis.ch/T622. Altre informazioni relative ai legami tra la guerra civile nigeriana e la rivelazione del caso Bührle si trovano nel volume 5 della collana Quaderni di Dodis: «SOS Biafra»