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Il genocidio armeno, una memoria storica o politica?

La parola “genocidio”, inteso come volontà di sterminare un gruppo nazionale, etnico o religioso, non pone soltanto questioni di natura diplomatica e giuridica, ma chiama in causa la storia e la sua possibile interpretazione politica. È quanto accade da più di cento anni con lo sterminio di un milione e mezzo di armeni sotto l’Impero ottomano nel 1915/16. Il riconoscimento pubblico del genocidio armeno da parte del presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha suscitato - come era prevedibile - la reazione negativa e stizzita da parte del presidente turco Erdogan.

Per il governo turco parlare di genocidio degli armeni rimane un tabù storico oltre che politico. È paradossale che a oltre un secolo di distanza si discuta attorno a una parola che rappresenta la tragedia di un popolo la cui diaspora conserva tuttora una traumatica memoria. È stato detto che quello armeno è il primo genocidio del ventesimo secolo, che altri genocidi e stermini ha portato con sé. Di fronte al genocidio armeno, ormai riconosciuto dalla quasi totalità degli storici è legittimo chiedersi se debba essere la politica a determinare quali criteri applicare per riconoscerlo e quali definizioni utilizzare. Il termine “genocidio” si è certo affermato subito dopo la Seconda guerra mondiale, in un particolare momento storico e giuridico legato al diritto internazionale ma è oggi la parola dell’orrore, anzi degli orrori da non ripetere: qualunque sia la parola che si voglia usare per definirli. Il resto, come direbbe qualcuno, è storia.

RSI
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